Il numero di novembre del periodico statistico “Dati Inail”, curato dalla Consulenza statistico attuariale, è dedicato alle attività estrattive e contiene un focus sulle gravi conseguenze degli infortuni avvenuti in cave e miniere nel quinquennio 2015-2019.
L’ultimo numero di Dati Inail, mensile di approfondimento realizzato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Inail, scava tra i numeri delle attività estrattive, settore a bassa intensità di lavoro e alta intensità di capitale che occupa lo 0,5% degli addetti dell’industria nel nostro Paese e produce l’1,3% del valore aggiunto, concentrando in particolare l’attenzione sulle gravi conseguenze degli infortuni che avvengono all’interno di cave e miniere.
Le attività estrattive in cave hanno origini consolidate in Italia, costituendo da sempre la fonte primaria per importanti opere di pregio storico, artistico e architettonico. I materiali estratti sono principalmente la ghiaia, la sabbia, l’argilla e il caolino, oltre alle pietre ornamentali e da costruzione, il calcare, la pietra da gesso, la creta e l’ardesia. Le estrazioni si svolgono in luoghi caratterizzati da una forte variabilità ambientale: le modalità operative dipendono dal materiale estratto e, talvolta, anche dall’esperienza e dalle tradizioni minerarie locali. Il fattore ambientale risulta quindi essere determinante per l’organizzazione e la gestione delle misure di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Come sottolineato da Dati Inail, oltre l’88% (1.777 casi) dei 2.008 infortuni denunciati nel quinquennio 2015-2019 nell’estrazione di pietra, sabbia e argilla risultano accertati positivamente, una percentuale molto più alta rispetto al 66,3% dell’intera gestione Industria e servizi, e di questi la quasi totalità (1.674) si sono verificati durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. Considerando i soli casi riconosciuti in occasione di lavoro, uno su quattro ha riguardato gli operai addetti alla cava (cavatore, escavatorista e manovale di cava) e circa il 10% gli autotrasportatori, sia delle autobetoniere che degli autocarri. Quasi nove casi su 10 sono riconducibili a infortuni che hanno determinato contusione (27,0%), frattura (22,6%), lussazione (oltre il 20%) e ferita (19,2%). Circa un terzo delle contusioni hanno riguardato gli arti superiori in particolare la mano, a seguire gli arti inferiori (23,2%) e la testa (oltre il 20%). Per gli eventi con esito mortale, la principale causa del decesso è la frattura, in particolare del cranio e della parete toracica.
Nel quinquennio 2015-2019 un infortunio su tre è avvenuto nel Centro del Paese (559), seguono poi il Nord-Ovest con il 23,0% (386) e il Nord-Est con il 22,0% (368), con il restante 21,6% (361) nel Mezzogiorno. Le regioni maggiormente colpite sono la Toscana (395 casi) e la Lombardia (254), proprio per la presenza di numerose cave attive, in particolare quelle di marmo nella provincia di Massa Carrara e di sabbia e ghiaia e di giacimenti minerari nelle province di Brescia e Bergamo. Numerosi sono anche i giacimenti di pietra calcarea in provincia di Brescia. Il primato negativo degli infortuni mortali riconosciuti in occasione di lavoro nelle attività di estrazione di pietra, sabbia e argilla spetta a Massa Carrara, con sette decessi nel quinquennio, la metà rispetto ai 14 verificatisi nell’intera gestione Industria e servizi nella stessa provincia, a conferma della gravità delle conseguenze degli infortuni che avvengono in questo comparto.
Se nell’intera gestione Industria e servizi le menomazioni permanenti hanno rappresentato circa l’8% degli indennizzi per infortuni avvenuti nel quinquennio, nelle attività estrattive lo stesso dato sale addirittura al 14,9%, più alto anche di quello delle Costruzioni (13,3%). Anche l’incidenza degli indennizzi ai superstiti dei lavoratori deceduti nelle attività estrattive tra il 2015 e il 2019 risulta essere molto più alta (0,9%) rispetto a quella delle Costruzioni (0,3%) e all’intera gestione Industria e servizi (0,1%).