E’ configurabile un danno biologico risarcibile per gli stretti congiunti della persona deceduta a causa di illecita condotta altrui allorché le sofferenze causate a costoro dalla perdita abbiano determinato una lesione dell’integrità psicofisica degli stessi
La Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, con la sentenza del 6 febbraio 2007 n. 2546 ha ulteriormente ribadito quanto previsto dalle sue ultime pronunce in tema di danno esistenziale, facendo un ulteriore passo verso il consolidamento definitivo del proprio orientamento in materia.
In particolare la Suprema Corte ha stabilito che “è configurabile un danno biologico risarcibile per gli stretti congiunti della persona deceduta a causa di illecita condotta altrui allorché le sofferenze causate a costoro dalla perdita abbiano determinato una lesione dell’integrità psicofisica degli stessi.
Il risarcimento, perciò, può essere riconosciuto e liquidato, anche in via equitativa, solo se sia stata fornita la prova che il decesso abbia inciso negativamente sulla salute dei congiunti, determinando una qualsiasi apprezzabile permanente patologia o l’aggravamento di una patologia preesistente (Cass.n.1442 del 2002). Del pari, non essendo configurabile un danno patrimoniale “in re ipsa”, il diritto al risarcimento di tale danno, che spetta ai congiunti di persona deceduta a causa di altrui fatto illecito, ex art.2043 c.c., richiede l’accertamento che i medesimi siano stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a godere in futuro (Cass. n.12597/2001, n.3549/2004 e n.4980/2006). Il danno esistenziale, da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (Cass. 6572/2006), non costituisce una componente o voce né del danno biologico né del danno morale, ma un autonomo titolo di danno, il cui riconoscimento non può prescindere da una specifica allegazione nel ricorso introduttivo del giudizio sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. In mancanza, la richiesta fattane per la prima volta in appello è da ritenere nuova e inammissibile, ex art. 345 c.p.c.”.
In particolare la Suprema Corte ha stabilito che “è configurabile un danno biologico risarcibile per gli stretti congiunti della persona deceduta a causa di illecita condotta altrui allorché le sofferenze causate a costoro dalla perdita abbiano determinato una lesione dell’integrità psicofisica degli stessi.
Il risarcimento, perciò, può essere riconosciuto e liquidato, anche in via equitativa, solo se sia stata fornita la prova che il decesso abbia inciso negativamente sulla salute dei congiunti, determinando una qualsiasi apprezzabile permanente patologia o l’aggravamento di una patologia preesistente (Cass.n.1442 del 2002). Del pari, non essendo configurabile un danno patrimoniale “in re ipsa”, il diritto al risarcimento di tale danno, che spetta ai congiunti di persona deceduta a causa di altrui fatto illecito, ex art.2043 c.c., richiede l’accertamento che i medesimi siano stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a godere in futuro (Cass. n.12597/2001, n.3549/2004 e n.4980/2006). Il danno esistenziale, da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (Cass. 6572/2006), non costituisce una componente o voce né del danno biologico né del danno morale, ma un autonomo titolo di danno, il cui riconoscimento non può prescindere da una specifica allegazione nel ricorso introduttivo del giudizio sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. In mancanza, la richiesta fattane per la prima volta in appello è da ritenere nuova e inammissibile, ex art. 345 c.p.c.”.
AG
Fonte: Corte di Cassazione Civile