E ancora, “a fronte di un orientamento che pretendeva, per dare rilevanza causale esclusiva alla condotta del lavoratore, non solo la abnormità e l’imprudenza, ma anche che la stessa fosse stata tenuta in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro, si è consolidato un diverso orientamento che conferisce rilievo causale anche a condotte poste in essere nell’ambito delle mansioni attribuite. In particolare si è affermato che può essere considerato imprudente ed abnorme ai fini causali, non solo il comportamento posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidate, ma anche quello che “rientri nelle mansioni che sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro” (Cass. IV, 40164 4, Giustiniani; v. anche Cass. IV. 95297, Maestrini).
In sostanza partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, tale rimproverabilità viene meno se la condotta pretesa non era esigibile in quanto del tutto imprevedibile era la situazione di pericolo da evitare.
Ebbene un rischio può considerarsi prevedibile, quando, in base a massime di esperienza venga valutato che è possibile che vengano tenute determinate condotte a cui possono conseguire, non eccezionalmente, determinati eventi di danno o di pericolo”.
AG