Il 1.o dicembre il sostituto procuratore Laura Longo ha ricostruito la dinamica dell’incendio.
Qualsiasi circostanza possa capitare in un ambiente di lavoro, non esime il dirigente dalle sue responsabilità, soprattutto se non ha adottato le adeguate misure di prevenzione.
Leggi l’intero articolo sul quotidiano “La Repubblica” riportato nel link….
—————
Sintesi dell’Articolo su “Repubblica” del 1.12.2010 – (s.mart.)
A POCHI giorni dall’anniversario della tragedia della Thyssen il sostituto procuratore Laura Longo ieri ha ricostruito in aula la dinamica dell’incendio in cui, il 6 dicembre 2007, morirono sette operai.
Un rogo che aveva tutte le caratteristiche per essere considerato “penalmente rilevante”, vasto, distruttivo e impossibile da spegnere.
Le fiamme erano alte nove metri, l’esplosione dell’ olio nebulizzato creò sui dipendenti un effetto chiamato “flashfire”: lingue di fuoco che piombarono come una vera esplosione sugli operai che stavano cercando di spegnere il principio d’ incendio sulla linea 5.
Ma spegnerlo per loro sarebbe stato impossibile.
Con una metafora, il pm Longo ha infatti definito il rogo nell’ acciaieria di corso Regina dotato delle stesse caratteristiche dell’ incendio di un pozzo petrolifero, o di un lanciafiamme militare o di una fiamma ossiacetilenica. «Le fiamme in queste circostanze si autoalimentano con la continua emissione di liquido infiammabile,e l’ unica modalità per spegnerle consiste nell’ interruzione dell’ alimentazione del fluido combustibile». Per il pm dunque l’incendio «non poteva essere spento in alcun modo». Nel caso dei pozzi petroliferi si provvede mediante esplosioni controllate per rompere il fronte delle fiamme con repentini spostamenti d’ aria conseguenti alle detonazioni. «L’ incendio – ha detto il pm – poteva essere spento solo con l’ interruzione del flusso d’ olio, situazione che si è verificata quando il sensore dello stoccaggio principale ha segnalato il raggiungimento del livello minimo».
Durante la nona parte della requisitoria il procuratore Guariniello è intervenuto per ribadire anche “giuridicamente” che nonè stata colpa degli operai. «In tutta coscienza – ha detto – mi sento di escludere che l’ evento sia accaduto per colpa degli operai.
Ci tengo a precisarlo perché per tutto il processo questa ipotesi è aleggiata nell’aria, soprattutto durante certe domande della difesa».
Sentenze della Cassazione pronunciate negli ultimi quattro anni gli sono servite per convincere i giudici che «il datore di lavoro è sempre responsabile per gli infortuni». Questi possono capitare per mille motivi, possono anche essere “abnormi”, e il dipendente può anche sbagliare per disattenzione, per stress, per stanchezza. Ma qualsiasi stato emotivo della vittima, qualsiasi circostanza possa capitare in un ambiente di lavoro, non esime il dirigente dalle sue responsabilità, soprattutto se non ha adottato le adeguate misure di prevenzione.
Misure, come un sistema antincendio, che agiscono prima che l’infortunio si verifichi, e a prescindere dai comportamenti degli operai.
Non vale per il pm la difesa di Espenhahn basata sul “principio di affidamento”: «non venivo in azienda negli ultimi mesi, ma sapevo di poter contare su dei bravi dirigenti e su degli ottimi lavoratori».