Corte costituzionale, acque, illegittimo l’articolo 4 del dl 138/2011

Per la Corte è costituzionalmente illegittimo l’articolo 4 del d.l. 138/2011, convertito in legge 148/2011, che aveva sostanzialmente reintrodotto la disciplina dei servizi pubblici locali, con l’eccezione del servizio idrico integrato, abolita solo un mese prima dal referendum che aveva soppresso l’articolo 23-bis del d.l. 112/2008, convertito in legge133/2008.

La Consulta, con la sentenza 20 luglio 2012, n. 199, ha accolto i ricorsi contro la manovra estiva 2011 presentati dalle alcune Regioni, osservando che l’articolo 4 della manovra Tremonti ha violato il divieto di ripristino della normativa abrogata dal referendum (articolo 75 della Costituzione).

Quindi è costituzionalmente illegittimo l’articolo 4 del d.l. 138/2011, convertito in legge 148/2011, che aveva sostanzialmente reintrodotto la disciplina dei servizi pubblici locali, con l’eccezione del servizio idrico integrato, abolita solo un mese prima dal referendum che aveva soppresso l’articolo 23-bis del d.l. 112/2008, convertito in legge133/2008.

Si è, così, usciti dall’equivoco determinato dalla qualificazione “mediatica” del referendum, da molti considerato finalizzato a mantenere il carattere pubblico del servizio di distribuzione dell’acqua, mentre lo scopo vero era eliminare dall’ordinamento giuridico l’articolo 23-bis della legge 133/2008 e, dunque, l’intera disciplina anche degli altri servizi pubblici locali in esso contenuta.

L’articolo 4 della seconda manovra estiva 2011, secondo le ricorrenti, aveva sostanzialmene limitato le ipotesi di affidamento “in house” dei servizi pubblici locali (cioè senza gara a soggetti costituiti dagli enti locali) al di sotto di 900mila fissando un tetto non previsto dalla normativa europea.

L’abolizione referendaria dell’articolo 23-bis del d.l. 112/ 2008 ha fatto sì che le competenze regionali e degli enti locali nel settore dei servizi pubblici locali, fortemente limitate e compresse dalla legge del 2008, si fossero riespanse.
Infatti, spiega la Consulta “a seguito della predetta abrogazione, la disciplina applicabile era quella comunitaria, più “favorevole” per le Regioni e per gli enti locali.

La sentenza 199/2011 sottolinea che l’intento abrogativo espresso con il referendum “riguardava “pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica” (sentenza n. 24 del 2011) ai quali era rivolto l’art. 23-bis,”, sicchè “non può ritenersi che l’esclusione del servizio idrico integrato dal novero dei servizi pubblici locali ai quali una simile disciplina si applica sia satisfattiva della volontà espressa attraverso la consultazione popolare, con la conseguenza che la norma oggi all’esame costituisce, sostanzialmente, la reintroduzione della disciplina abrogata con il referendum del 12 e 13 giugno 2011”.

La sentenza della Corte costituzionale viene adottata, per altro, in una fase estremamente delicata. Infatti, solo due settimane fa è entrato in vigore il d.l. 95/2012 che all’articolo 4 contiene disposizioni ancora una volta relative agli affidamenti in house, anche più restrittive dell’autonomia organizzativa di regioni ed enti locali di quelle contenute dalla norma dichiarata incostituzionale. Per il Governo e il Parlamento, difficilmente, infatti, si potrebbe non tenere conto dell’interpretazione costituzionalmente orientata, discendente dalla sentenza 199/2012.

Fonte: ItaliaOggi

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