L’Italia rischia maxi condanna sui rifiuti

Per i ritardi su chiusura e bonifica delle discariche illegali l’Italia rischia maxicondanna dalla Corte di giustizia dell’Unione europea

Un’inerzia che dura dal 2007 e che deve essere sanzionata. Lo chiede l’Avvocato generale Kokott nelle conclusioni depositate ieri nella causa C-196/13 relativa all’inadempimento dell’Italia nell’esecuzione della sentenza del 2007 (C-135/05) relativa ai rifiuti. In quell’occasione la Corte di giustizia dell’Unione europea aveva accertato l’inadempimento italiano giudicando del tutto inefficace il sistema di smaltimento dei rifiuti. Sono passati 7 anni e l’Italia non ha eseguito la sentenza. Di conseguenza, la Commissione si è rivolta nuovamente alla Corte Ue chiedendo una condanna dell’Italia per mancata esecuzione della pronuncia.

Una posizione che l’Avvocato generale, le cui conclusioni non sono vincolanti ma seguite di frequente dalla Corte, ha condiviso proponendo di condannare l’Italia al pagamento di una penalità giornaliera di 158.200 euro fino all’esecuzione e una somma forfettaria pari a 60 milioni. Una stangata.

La vicenda che si trascina da anni riguarda le discariche illegali presenti in Italia e la mancata bonifica di quelle chiuse. La Corte di giustizia aveva accertato che le modalità con le quali avveniva lo smaltimento in Italia non garantivano la salute dell’uomo e la protezione dell’ambiente, anche a causa dei mancati controlli per selezionare i rifiuti pericolosi e per la mancanza di un adeguato sistema repressivo attestato dalla proliferazione di discariche abusive. Dopo la condanna, la Commissione aveva iniziato una fitta corrispondenza con il Governo, concedendo una proroga per l’esecuzione della sentenza. L’ultima comunicazione trasmessa a Bruxelles nel 2013 non ha convinto la Commissione che ha avviato il nuovo procedimento giudiziario.

L’Italia si è difesa sostenendo che, a seguito della modifica del quadro normativo Ue, non sussisterebbe un obbligo di esecuzione della pronuncia. Una tesi respinta dall’Avvocato generale che ha accertato la persistenza dell’obbligo. Questo perché le direttive che hanno determinato l’originaria pronuncia di condanna sono state modificate, ma gli obblighi sono rimasti inalterati. Non solo. Il legislatore Ue ha richiamato le precedenti direttive confermando gli obblighi già esistenti. Pertanto, osserva l’Avvocato generale, lo Stato in causa è tenuto ad eseguire gli obblighi fissati nella precedente direttiva e nella sentenza.

In particolare, le violazioni riguardano l’utilizzazione di discariche illegali di rifiuti «in parte con l’abbandono di rifiuti pericolosi», la mancata bonifica delle discariche chiuse e la mancanza di una nuova autorizzazione per le discariche rimaste in funzione. Partita dalla segnalazione di ben 422 discariche illegali, la Commissione ha poi indicato che ne erano utilizzate ancora due. La censura della Commissione è, per l’Avvocato generale, fondata, anche se ha delimitato la portata dell’obbligo escludendo che la Corte abbia richiesto provvedimenti legislativi generali o di tipo sistematico. Ciò che conta è che vengano attuate le norme vigenti per evitare il fenomeno delle discariche illegali. L’Italia deve poi eseguire la sentenza nella parte in cui richiede la bonifica delle discariche illegali chiuse.

Accertati i ritardi nell’esecuzione, l’Avvocato generale chiede di condannare l’Italia al pagamento di una penalità consistente nell’irrogazione di una somma decrescente in misura dell’avanzamento dell’esecuzione e non una penalità fissa dando così fiducia all’Italia. Importi, tuttavia, molto elevati pari a una penalità giornaliera di 158.200 euro fino al momento dell’esecuzione della sentenza con alcune riduzioni se l’Italia fornisce la prova della chiusura o della bonifica di alcune discariche e una somma forfettaria di 60 milioni di euro.

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