Con l’entrata in vigore della legge del 2003 sulla tutela dei non fumatori e il divieto di fumo in tutti i luoghi chiusi non privati, i datori di lavoro hanno dovuto gestire le problematiche del fumo di tabacco che, interagendo con i rischi professionali, può rappresentare un fattore di rischio per i lavoratori.
“L’azienda – sottolinea Tiziana Paola Baccolo, ricercatrice del Dimeila e responsabile scientifico della linea di ricerca sui comportamenti a rischio – oltre a far rispettare il divieto, deve effettuare l’informazione ai lavoratori sui danni da fumo attivo e passivo e può intraprendere programmi di promozione della salute che prevedano la partecipazione dei lavoratori a percorsi per smettere di fumare gestiti da personale qualificato”.
Rispetto ai non fumatori, i tabagisti rischiano maggiormente (da 1,4 a 2,5 volte) di subire infortuni sul lavoro e, in genere, si assentano dal lavoro per malattia con più frequenza. Oltre alla possibilità di innesco di incendi ed esplosioni, per alcune categorie di lavoratori (autotrasportatori, rappresentanti, addetti ad attività di pattugliamento, autisti e conduttori di veicoli di cantiere, betoniere, mezzi agricoli, escavatori…) tra i fumatori sono più frequenti gli incidenti automobilistici.
Ci sono poi quei lavoratori che devono svolgere la propria mansione in ambienti per fumatori (a norma del Dpcm del 23 dicembre 2003), dove sono presenti i prodotti della combustione del tabacco fumato da altri. “Il fumo passivo, come fattore di rischio lavorativo – rileva Baccolo – è presente per i lavoratori che svolgono la propria attività all’interno delle sale riservate ai fumatori, come quelle presenti in ristoranti e sale gioco, nelle quali è prevista una valutazione specifica del rischio”.