“Sbagliando s’impara” è un detto che accompagna la vita di ogni essere umano fin dalla sua nascita. Lo ripetono i genitori al bimbo che commette i primi errori nella comune attività di conoscenza della vita che, come è capitato a tutti, procede per prova ed errore. E ce lo sentiamo dire ancora oggi, non solo perché è una verità empirica, ma anche per vedere il “bicchiere mezzo pieno”. Cioè, pur avendo sbagliato (in caso non si tratti di mera distrazione) esiste la possibilità di arricchire la propria esperienza di una nuova conoscenza che sia in grado di evitare il ripetersi dell’errore commesso.
Dovrebbe essere così anche nel mondo del lavoro in materia di prevenzione degli infortuni con l’idea, appunto, che dagli errori si possano apprendere informazioni fondamentali per evitarne il ripetersi, sia dei medesimi eventi, sia di altri simili alla cui base (causa di radice) possano sussistere gli stessi determinanti, cioè i fattori di rischio la cui valutazione, non delegabile dal datore di lavoro, è posta dall’ordinamento giuslavoristico di matrice europea come la più importante attività che un’organizzazione possa mettere in atto per
la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
Il lettore potrebbe obiettare che se si deve attendere un infortunio per evitarne altri, la metodologia appare alquanto limitata e fortemente reattiva, quando invece tutto il sistema normativo europeo richiede, da almeno 22 anni, ad imprenditori, dirigenti, progettisti e costruttori, un approccio proattivo. Se ne conviene pienamente; anzi, si aggiunge che, se il datore di lavoro (di seg. d.d.l.) si limitasse a ciò, l’atteggiamento risulterebbe addirittura immorale. Infatti, di norma, le valutazioni dei rischi sono condotte, in nome e per conto del d.d.l., da RSPP o consulenti che possono avvalersi di quell’esperienza necessaria ed irrinunciabile per una efficace valutazione dei rischi lavoro-correlati.
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