In Italia e in Europa l’attuale modello di sviluppo socio-economico e gli sforzi di conservazione fatti fino ad oggi, che pure hanno prodotto buoni esiti, non sono sufficienti ad arrestare il declino delle specie animali e vegetali.
L’Unione mondiale per la conservazione della natura (la Iucn, che compila le red list delle specie in pericolo) calcola per l’Italia una perdita annuale di specie pari allo 0,5% del totale. Nonostante l’impegno nella conservazione, su oltre 2800 specie esaminate ben 596 sono a rischio di estinzione (il 20%). Per altre 376, soprattutto invertebrati o animali di ambiente marino, e per la stragrande maggioranza delle specie vegetali prioritarie, il rischio di estinzione è ignoto o non ci sono dati adeguati.
C’è una questione culturale da superare, per difendere la biodiversità ci vuole innanzitutto capacità di gestire il territorio conciliando le esigenze delle attività produttive con la presenza della fauna selvatica, accompagnando il processo con una potente azione di informazione e formazione. Un esempio tra tutti la conservazione del lupo. Con molti sforzi si è passati da 100 a 1400–2000 individui lungo tutto la catena appenninica e nell’arco alpino occidentale. Ma la convivenza con l’uomo, paradossalmente, è difficilissima. Ibridazione, bracconaggio e disinformazione colpiscono duramente. Secondo l’Ispra, sono uccisi ogni anno 250–300 esemplari.