Collettiva, la piattaforma CGIL che diffonde il grande racconto collettivo del lavoro e del sindacato, parla di precariato femminile nell’articolo “Lavoratrici, non angeli del focolare” con un’intervista a Susanna Camusso responsabile delle Politiche di genere.
Il precariato femminile è una piaga e, se mai ce ne fosse stato bisogno, lo confermano anche gli ultimi dati Istat sull’occupazione che registrano la perdita a dicembre di 101 mila posti di lavoro, 99 mila dei quali erano occupati da donne. Essendo ancora in vigore il blocco dei licenziamenti, risulta evidente che si tratta di lavori precari, a scadenza.
“Il Covid ha semplicemente amplificato o dimostrato le diseguaglianze esistenti – ci spiega Susanna Camusso, responsabile delle Politiche di genere della CGIL – diventa evidente qualcosa che già sapevamo, che non è mai stato al centro dell’attenzione, vale a dire che il lavoro femminile è più precario, a termine, spesso più marginale e marginalizzato. Questo è anche l’effetto di una logica ripetuta negli anni di incentivi senza condizionalità e non di innovazione e cambiamento del mercato lavoro”.
Camusso ricorda che sul fronte del tasso di occupazione femminile siamo tornati ai livelli dei primi anno 2000, con un 48,5% che per le giovani donne è addirittura attorno al 30 %. “Il problema – prosegue – è quindi che si salvaguarda l’occupazione stabile, costruita con grande fatica nel tempo dalle cinquantenni e ultracinquantenni, con un blocco in entrata delle nuove generazioni, che però sono le più istruite della storia. Quindi considero il problema strutturale: si lascia lo spazio della marginalità delle forme precarie e non si investe sul patrimonio di competenze e capacità che le giovani donne in particolare hanno”.
E’ mancata e manca quindi la volontà di affrontare il problema “non solo in ragione della crisi economica dovuta alla pandemia, ma del dato strutturale del mercato del lavoro nei confronti del quale non si fa niente”. Camusso denuncia così un immobilismo annoso e aggiunge che con la pandemia si scopre che il blocco dei licenziamenti, assolutamente necessario, non copre però le donne precarie e lo stesso gli ammortizzatori che non sono universali quindi ingiusti verso fasce più deboli.
Per la responsabile delle Politiche di genere della CCGIL è da qui che si dovrebbe partire “per affrontare i problemi di un mercato del lavoro precarizzante che va riformato radicalmente e un sistema di ammortizzatori che protegge in modo diseguali e ha particolari effetti sulle donne. L’unica risposta possibile, che non siano gli incentivi con l’erogazione monetaria alle aziende, sono scelte che guardano a dove c’è l’occupazione femminile, non il libro dei sogni, ma qui e ora dove si assumono le donne, quindi con precisi investimenti nel settore pubblico che si occupa del benessere e della cura delle persone. Limitandoci a seguire il trend di mercato, le donne rimangono escluse da quelli che sono i nuovi luoghi del potere”.
Facendo un raffronto con gli altri Paesi europei, emerge che “il problema è globale, ma noi abbiamo la maglia nera. Noi siamo ultimi in Europa in materia di occupazione femminile, ma siamo secondi per economia. In Europa si parla del 62% femminile e noi siamo 14 punti sotto”. “La segregazione non è solamente italiana – prosegue Camusso – è il prodotto di una cultura di mercato, patriarcale e connessa al capitalismo, ma la situazione da noi è diversa perché diverso è il sistema di welfare e di sostegno”.
Si tratta comunque di un problema di sovrastruttura sociale: “Il compito primario riconosciuto alle donne è di cura della famiglia: voi donne siete angeli de focolare, ma, se proprio insistete, qualche marginalità ve la lasciamo, se proprio volete e vi avanza tempo, potete lavorare – afferma con tono ironico Camusso – Basti pensare che il ministero delle Pari opportunità è insieme anche ministero della Famiglia. La struttura della società prevede primari e secondari, la scena politica, del lavoro, delle decisioni è maschile e poi le donne si occupano di tenere insieme il tutto e la pandemia ci dimostra che senza cura non si sopravvive”.
Fonte: Collettiva