Cassazione Penale, Sez. 4, 23 giugno 2025, n. 23320 – Lavoratore precipita da una voragine del solaio. Mancata delimitazione dell’area di cantiere con adeguato divieto di accesso alle zone del palazzo pericolanti e mancata segnalazione del foro.
La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale, ha dichiarato non doversi procedere per talune contravvenzioni in materia antinfortunistica contestate per intervenuta prescrizione e ha confermato la condanna dell’imputato per il reato di cui all’art. 589 cod. pen. rideterminandone la pena con i benefici di legge. All’imputato, in qualità di datore di lavoro dell’operaio precipitato da una voragine del solaio interpiano durante i lavori di rifacimento di un palazzo, era stato contestato di aver cagionato la morte del lavoratore per colpa generica nonché per colpa consistita nella violazione delle norme volte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro. In particolare gli era stata contestata non solo l’omessa adozione di adeguati ponteggi idonei a prevenire i pericoli di caduta, ma anche di non aver fornito al lavoratore le necessarie informazioni e gli adeguati dispositivi di sicurezza, di aver consentito al lavoratore di accedere al cantiere e, in particolare, ai piani superiori del palazzo senza adottare tutte le misure atte a segnalare la pericolosità delle aree nonché di apporre idonea segnaletica di cantiere.
La sentenza è stata impugnata dall’imputato.
Il ricorso è inammissibile.
I motivi proposti in ricorso si sostanziano in una ripetizione delle doglianze già puntualmente respinte dalla Corte territoriale con motivazione del tutto coerente e adeguata ed è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970 – 01). Il ricorso quindi, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata.
La Corte territoriale, richiamando le argomentazioni della sentenza di primo grado, ha osservato, con ragionamento ineccepibile dal punto di vista logico nonché saldamente ancorato alle risultanze processuali, che il sinistro era riconducibile alla mancata delimitazione dell’area di cantiere con adeguato divieto di accesso alle zone del palazzo pericolanti e alla mancata segnalazione, con appositi cartelli, del foro esistente nel pavimento della stanza (parzialmente coperto da un tappeto) ove il lavoratore era precipitato. I giudici di merito hanno considerato che la stanza dalla quale era precipitato il lavoratore era direttamente accessibile dalle scale e da una porta comunicante con la stanza in cui in cantiere era in fase di allestimento; né poteva costituire efficace divieto di ingresso, in mancanza di specifico avviso relativo al pericolo di crolli, la apposizione di assi di legno alte un circa metro facilmente scavalcabili. Inoltre, la idonea segnaletica di pericolo non poteva essere sopperita dalla mera comunicazione verbale al lavoratore, peraltro non estesa a tutti gli operai.
Dette argomentazioni ricostruiscono esaustivamente il profilo di responsabilità datoriale consistente nel dovere di segnalare situazioni di pericolo per l’incolumità dei lavoratori (Sez. 4, n. 4340 del 24/11/2015, Zelanda, Rv. 265977 – 01; Sez. 4, n. 9167 del 01/02/2018, Verity, Rv. 273258 – 01). Nel caso di specie, è pacifico che i lavori edili commissionati all’imputato riguardavano il rifacimento del tetto del palazzo, devastato da un incendio; che il palazzo era insicuro e pericolante in più punti; che la stanza in cui era avvenuto il sinistro era adiacente a quella in cui il ponteggio era in fase di montaggio, e quindi adiacente al cantiere in allestimento. I giudici di merito, dunque, ben evidenziano che, data la situazione di fatto esistente, il luogo di lavoro doveva essere presidiato da segnalazioni idonee a salvaguardare l’incolumità dei lavoratori.
Non coglie nel segno neppure il motivo con cui si lamenta la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla affermazione del nesso causale sussistente tra l’omissione della condotta doverosa e il mortale infortunio, poiché sarebbe configurabile un comportamento abnorme del lavoratore. Come affermato dalla Corte territoriale nonché dal primo giudice la condotta del lavoratore era del tutto pertinente alle operazioni lavorative da espletare, come tale non eccentrica: è stato invero rilevato che la stanza dalla quale il lavoratore era precipitato era comunicante con quella in cui il cantiere era in fase di allestimento, di talché l’accesso ad aree adiacenti da parte dei lavoratori non solo era del tutto prevedibile, ma era anche strettamente rientrante nel rischio della lavorazione da eseguirsi.
Fonte: Olympus.uniurb