Cassazione Penale: incidente durante i lavori di demolizione di un ponte caricatore, ruolo del responsabile/direttore dei lavori e del CSE

Cassazione Penale, Sez. 4, 25 agosto 2025, n. 29644 – Crollo fatale al porto di Crotone. Ruolo del responsabile dei lavori/direttore dei lavori e del CSE.

 

La Corte d’Appello, su ricorso delle parti civili, ha confermato la sentenza del Tribunale, con cui gli imputati, rispettivamente nella qualità di responsabile e direttore dei lavori di demolizione di un ponte caricatore insistente sul porto di Crotone e nella qualità di coordinatore in fase di esecuzione di detti lavori, erano stati assolti dal reato di cui all’art. 589 cod. pen. in danno del lavoratore per non aver commesso il fatto.
Secondo la descrizione dei fatti di cui alla imputazione, presso il porto di Crotone la ditta S aveva affidato i lavori di demolizione di un ponte caricatore di sua proprietà a una Associazione Temporanea di Imprese, costituita dalla società mandataria G e dalla società mandante H. Il giorno dell’infortunio il lavoratore, dipendente della società G, si trovava sul cestello della piattaforma elevabile di proprietà della ditta H, insieme ad un collega che operava su piattaforma esterna, ad un’altezza inferiore ai nove metri dal suoloed era era impegnato nel taglio con la fiamma ossidrica di un pianetto di servizio; improvvisamente terminata l’operazione di taglio le quattro colonne portanti della gru erano cedute contemporaneamente e, rovinando al suolo, avevano investito il cestello su cui si trovava il lavoratore e ne avevano determinato il decesso sul colpo.
Quali addebiti di colpa, nell’imputazione, erano stati individuati:
– nei confronti del responsabile dei lavori la violazione degli artt. 90, 93 e 92 D.Lgs. n. 81/2008, per avere omesso di esigere dal coordinatore in fase di esecuzione dei lavori l’applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento e la corretta applicazione delle procedure di lavoro, previste nei piani delle singole ditte: nello specifico, contrariamente a quanto previsto in detti piani, i lavori a quota inferiore ai nove metri dal piano di campagna venivano effettuati non già con l’escavatore munito di cesoia, bensì con il taglio a caldo, ovvero con l’ausilio del cannello e della fiamma ossidrica, con conseguente esposizione a rischi che non erano stati analizzati;
– nei confronti del CSE, la violazione degli artt. 90 e 92 D.Lgs. 81/2008, per avere omesso di verificare l’applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento e le corrette procedure di lavoro previste nel piani di sicurezza delle singole ditte: nello specifico, contrariamente a quanto previsto in detti piani, i lavori a quota inferiore ai nove metri dal piano di campagna venivano effettuati non già con l’escavatore munito di cesoia, bensì con il taglio a caldo, ovvero con l’ausilio del cannello e della fiamma ossidrica, con conseguente esposizione a rischi che non erano stati analizzati.
Nel corso del processo di primo grado, il pubblico ministero aveva “ridisegnato” l’originario addebito e aveva sostenuto che la colpa degli imputati era stata quella di aver proseguito nell’attività di demolizione, senza adottare qualsivoglia precauzione, nonostante fosse divenuta manifesta o fosse comunque conoscibile e percepibile la condizione di instabilità della struttura.
Il Tribunale successivamente aveva assolto detti imputati (e dichiarato insussistenti gli illeciti della società H e G) e aveva disposto la trasmissione degli atti emersi nel corso dell’istruttoria e, in particolare, alle condotte colpose consistite in errori nella fase di progettazione delle attività di demolizione, nella redazione del piano di taglio e nella costruzione del manufatto che presentava vizi occulti. In estrema sintesi, si era ritenuto che il crollo non fosse stato determinato dal taglio a caldo della passatoia, ma dalla instabilità della struttura a seguito della demolizione delle quattro travi che la sorreggevano e dal vizio occulto di costruzione. La Corte di appello, con la sentenza impugnata, ha aderito in toto a tale impostazione.
Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso le parte civili.

I ricorsi delle parti civili sono fondati, nel senso che di seguito si precisa. (…)
L’attività di demolizione è disciplinata dagli articoli da 150 a 156, Sezione VIII, Titolo IV, D.Lgs. n. 81/2008. In forza di tale normativa, ai sensi dell’art. 150 D.Lgs. 81/2008 è fatto obbligo, prima dell’inizio dei lavori di demolizione, di verificare le condizioni di conservazione e stabilità delle strutture da demolire e, a valle della verifica, di eseguire opere di rafforzamento e puntellamento finalizzate ad evitare il rischio di crolli. Il successivo art. 151 prevede che i lavori di demolizione debbano procedere con ordine, cautela, debbano essere eseguiti sotto la sorveglianza di un preposto e debbano essere condotti in maniera da non pregiudicare la stabilità della strutture portanti o di collegamento e di quelle eventuali adiacenti. La successione dei lavori deve risultare da apposito programma contenuto nel POS, tenendo conto di quanto indicato nel PSC.
Le sentenze di merito non contengono alcun approfondimento in ordine al rispetto della normativa richiamata. Dal tenore della motivazione sembrerebbe che la verifica dello stato di conservazione della struttura sia stata effettuata attraverso il c.d. piano dei tagli, a cui, peraltro, non erano conseguite opere di rafforzamento o puntellatura, né imbragature o messa a tiro, che il piano di sicurezza e coordinamento non prevedeva.
I giudici hanno dato atto che, a seguito della asportazione delle travi diagonali, la struttura si era notevolmente indebolita, sottintendendo che, quanto a meno a partire da tale momento, l’evento “crollo” era prevedibile, ma non si sono soffermati, come sarebbe stato doveroso, sulla mancata predisposizione di imbracature tali da evitare l’evento. Appare, invero, contraddittoria la sentenza impugnata, laddove afferma che la demolizione delle travi aveva determinato oggettivamente un indebolimento della struttura e nel contempo esclude la prevedibilità in astratto del rischio crollo solo perché il piano dei tagli ne aveva certificato la stabilità in qualsiasi momento dell’attività: i giudici stessi hanno rilevato, sulla scorta delle affermazioni dei consulenti, che il piano dei tagli non era affidabile e che la progettazione dell’attività di demolizione era stata carente e fallace. Sotto tale ultimo profilo il rilievo attribuito al vizio occulto di costruzione del carro ponte appare, in qualche modo, apodittico: non è stata chiarita, eventualmente anche attraverso un accertamento peritale, la rilevanza causale di tale vizio occulto, ovvero se, nel caso in cui la composizione delle colonne fosse stata conforme a quanto certificato, la struttura avrebbe retto. La censura delle parti ricorrenti coglie nel segno nel sottolineare, sulla base delle dichiarazioni del CT, che il saggio sulla composizione della struttura era stato effettuato su un solo punto e non già in più punti, sicché anche sotto tale profilo la motivazione delle sentenze di assoluzione è manifestamente carente.
Anche l’assunto dei giudici di merito, secondo cui la pacifica inosservanza della prescrizione contenuta nel PSC e nei POS relativamente alle modalità di effettuazione dei tagli, ovvero a freddo e con macchina escavatrice munita di cesoia, anziché a caldo, non era rilevante ai fini della affermazione della responsabilità degli imputati (in quanto prescrizione di carattere tecnico e non “cautelare”), appare apodittico e non sufficientemente argomentato. Né la Corte, né il Tribunale si sono confrontati con le testimonianze degli Ispettori del Servizio Prevenzione Infortuni della ASL (Tilelli e Aloe), i quali, secondo quanto riportato nella sentenza di primo grado, si erano espressi nel senso che la previsione suddetta era finalizzata anche alla salvaguardia della sicurezza dei lavoratori. I testi esperti avevano dichiarato che la previsione per cui le demolizioni a quota inferiore ai nove metri dovevano essere effettuate a freddo era dettata allo scopo di evitare che i lavoratori fossero costretti ad intervenire all’interno della struttura, ormai alleggerita a causa dell’avanzato stato dei lavori di smontaggio, e, dunque, anche allo scopo di preservarli dal rischio crollo.
Le considerazioni esposte valgono, pertanto, a far ritenere che la conclusione delle sentenze di merito per cui gli imputati non avrebbero potuto “ragionevolmente sospettare” la situazione di pericolo, “avendo ex ante adottato tutte le misure idonee a scongiurarla”, sia contraddittoria e apodittica.
Il tema della prevedibilità dell’evento crollo non è stato adeguatamente esplorato dai giudici di merito, che non hanno tenuto conto delle peculiarità dell’attività di demolizione i cui rischi gli imputati erano chiamati a gestire, in ragione della posizione di garanzia rispettivamente rivestita; correlativamente l’affermazione per cui essi avevano, ex ante, adottato tutte le misure idonee a prevenire il rischio di crollo e di investimento dei lavoratori addetti allo smontaggio appare smentita dall’istruttoria, da cui era emerso come non fosse stata adottata alcuna opera di imbragatura o messa a tiro della struttura e come non fossero state comunque rispettate le prescrizioni dettate dai piani di sicurezza sulle modalità di effettuazione dei tagli.
La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio.

Fonte: Olympus.uniurb

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