Il Climate Change Performance Index (CCPI), pubblicato annualmente dal 2005, è uno strumento di monitoraggio indipendente per monitorare le prestazioni di mitigazione del cambiamento climatico di 63 paesi e dell’UE. Il CCPI mira a migliorare la trasparenza nelle politiche internazionali sul clima e consente di confrontare gli sforzi e i progressi dei singoli paesi in materia di protezione del clima.
Il Climate Change Performance Index 2026, pubblicato con la COP30 in corso, mostra come i Paesi del mondo procedano troppo lentamente nel raggiungere gli obiettivi preposti a dieci anni dall’Accordo di Parigi. Nella classifica l’Italia retrocede al 46esimo posto, perdendo tre posizioni rispetto allo scorso anno (era 43esima) e ben 17 rispetto al 2022 (quando era 29esima). Una caduta libera che la fa restare anche quest’anno ben lontana dalle posizioni di vertice che vedono dominare la Danimarca (4°), seguita da Regno Unito (5°) e Marocco (6°).
L’Italia paga lo scotto di una politica climatica nazionale (58° posto della specifica classifica) fortemente inadeguata a fronteggiare l’emergenza climatica, infatti, l’aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) consente una riduzione complessiva delle emissioni entro il 2030 di appena il 44.3%. Un ulteriore passo indietro rispetto al 51% previsto dal PNRR, già inadeguato in confronto all’obiettivo europeo del 55%.
Nel periodo 1990-2023 le emissioni climalteranti italiane sono diminuite del 26.4% e con le politiche correnti, secondo le proiezioni ISPRA, entro il 2030 sarà possibile una riduzione delle emissioni nazionali di solo il 42%, includendo anche gli assorbimenti. Ritardo dovuto anche alla crescita ancora lenta delle rinnovabili, nel 2023 la quota del consumo da fonti rinnovabili, sul consumo finale lordo di energia, si è attestato ad appena il 19.6%, performance fortemente inadeguata a raggiungere l’obiettivo del 39.4% previsto dal PNIEC. L’ISPRA sottolinea che il ritmo di crescita delle rinnovabili dovrebbe essere circa quattro volte superiore rispetto al passato per centrare l’obiettivo del PNIEC.
Anche quest’anno le prime tre posizioni della Climate Change Performance Index non sono state attribuite, in quanto nessuno dei Paesi ha ancora raggiunto la performance necessaria per contribuire a contenere con efficacia il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C.
Si conferma in testa alla classifica con il quarto posto la Danimarca, grazie soprattutto alla significativa riduzione delle emissioni climalteranti ed allo sviluppo delle rinnovabili, soprattutto offshore. Segue il Regno Unito (5°) grazie ad una più ambiziosa politica climatica ed al phase-out del carbone, nonostante il ritardo nello sviluppo delle rinnovabili.
Sale il Marocco che si posiziona nel terzetto di testa (6°) con un’efficace politica climatica che garantisce emissioni pro-capite molto basse e consistenti investimenti nel trasporto pubblico. Anche quest’anno, i Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili si posizionano in coda alla classifica dove troviamo, subito dopo la Russia, Stati Uniti, Iran ed Arabia Saudita.
La peggiore performance climatica, tra i grandi emettitori globali, quest’anno è quella dell’India (23°) che scende di ben 13 posizioni. Nonostante il promettente trend delle rinnovabili, le emissioni continuano ad aumentare per il crescente ricorso al carbone, con nuove centrali in programma e senza una roadmap per il suo phase-out.
L’Unione europea (20°) scende di tre posizioni, con solo 15 Paesi nella parte medio-alta. Nonostante il significativo passo in avanti della Spagna (14°) che sale di 5 posizioni per la crescente efficacia della sua politica climatica ed energetica.
Fonte: CCPI
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