Accordo globale sul clima nelle mani di Usa e Cina

L’Europa ha già fatto la sua parte nella lotta all’effetto serra. Ora tocca a Cina e Stati Uniti. La conferenza di Parigi del dicembre 2015 è senza appello.

Tra un vertice e l’altro, tra un fallimento totale (Copenaghen 2009) e un’intesa che rinvia tutto al 2015 fatta passare per un successo (Durban 2011), i negoziati internazionali sui cambiamenti climatici sotto l’ombrello dell’Onu hanno prodotto finora tonnellate di carta, ma pochi risultati concreti.

La conferenza di Parigi del dicembre 2015 è dunque senza appello. Entro quella data i 195 Paesi che siedono al tavolo della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Unfcc) si sono impegnati a trovare un nuovo accordo internazionale dotato di forza legale per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Un patto al quale questa volta devono aderire anche i Paesi in via di sviluppo, esclusi dal protocollo di Kyoto, oltre agli Stati Uniti.
In meno di vent’anni infatti gli equilibri economici mondiali sono cambiati in maniera radicale, e con loro la geografia dell’impatto ambientale. Se a Kyoto si era deciso, sotto la formula di «responsabilità comuni ma differenziate», di affidare solo ai Paesi avanzati l’onere dei tagli alle emissioni, oggi la lotta ai cambiamenti climatici sarebbe persa in partenza senza la partecipazione dei grandi Paesi emergenti. Solo la Cina ormai produce oltre un quarto delle emissioni mondiali di CO2, contro il 16% degli Stati Uniti e l’11% dell’Unione Europea.
Ecco perché saranno soprattutto loro, Usa e Cina, i protagonisti dei negoziati, e i responsabili di un loro eventuale fallimento.

Proprio nei giorni scorsi i rappresentanti dei due governi si sono incontrati e hanno avviato un dialogo che secondo i veterani dei negoziati climatici segna la novità più importante dai tempi del protocollo di Kyoto.
Di nuovo c’è soprattutto l’atteggiamento di Pechino. Le immagini delle megalopoli cinesi soffocate dallo smog non solo hanno fatto il giro del mondo, ma ormai sono diventate un’emergenza sanitaria nazionale. Le madri cinesi non vogliono crescere i propri figli in luoghi così insalubri, chiedono un’aria migliore e le autorità sanno di dover loro delle risposte. La svolta di Pechino a favore delle energie rinnovabili è dunque destinata a proseguire, così come gli investimenti nella mobilità sostenibile (leggi auto elettriche).
Quanto agli Stati Uniti, se le promesse di Barack Obama in materia di ambiente finora sono rimaste lettera morta, il calendario potrebbe essergli favorevole. Il vertice di Parigi cade infatti proprio a metà strada tra le elezioni di metà mandato del prossimo novembre e le presidenziali del novembre 2016. Una data ideale per mettere il governo americano nelle condizioni di accettare un’intesa impopolare in casa e dargli il tempo di farla digerire all’elettorato.

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