Anche i veicoli elettrici non possono essere considerati a zero emissioni

Le automobili elettriche non possono considerarsi a zero emissioni se nel calcolo della CO2, non ci si limita alla rilevazione dei gas proveniente dagli scarichi, ma si tiene conto del modo in cui si ottiene l’energia elettrica utilizza e si considera l’intero ciclo di vita del veicolo dalla produzione alla demolizione.

L’Unione Europea considera pari a zero le emissioni di CO2 delle auto elettriche. Questo perché si limita a prendere in considerazione soltanto le emissioni dal serbatoio alla ruota “tank to wheel” ovvero quelle legate all’uso della vettura, senza tenere conto né di quelle relative alla produzione di benzina, gasolio ed elettricità, né tantomeno di quelle derivanti dalla produzione e dallo smaltimento dei veicolo. Il calcolo delle emissioni di un veicolo deve iniziare, invece, ancor prima della sua nascita, quando cioè viene prodotta l’energia necessaria alla fabbrica che lo produce. In questo senso l’inizio del ciclo di vita di un automobile coincide con la produzione. Per questo, ai fini delle emissioni di anidride carbonica, è fondamentale il modo in cui si ottiene l’energia elettrica. Occorre infatti ricordare che il mix energetico per la produzione dell’elettricità condiziona le emissioni: in Italia il 43% proviene da gas naturale, il 36% da fonti rinnovabili, il 14% dal carbone, il 3,6% dal nucleare, lo 0,8% da prodotti petroliferi e la quota rimanente da altre materie prime secondo i dati raccolti dal GSE – Gestore dei Servizi Energetici.

Si scopre così che anche i veicoli elettrici EV – Electric Vehicle non sono “trasparenti” per l’ambiente. Due sono i fattori determinanti: il modo di produrre energia elettrica, come accennato e quelli di costruzione e riciclo delle batterie/accumulatori. Sono queste le fasi in cui le emissioni non sempre sono pari a zero. La fabbricazione dell’accumulatore delle auto elettriche è un processo che comporta elevate emissioni di anidride carbonica, proporzionali alla capacità della batteria stessa, che si aggiungono a quelle per la produzione della vettura.
L’attività di estrazione del petrolio ha di sicuro un impatto ambientale. Ma pure l’estrazione di litio, cobalto e nichel, necessari per le batterie, il loro trasporto e la realizzazione degli accumulatori comportano emissioni (da 56 a 494 g di CO2 per kWh).
Le emissioni di CO2 dei veicoli possono essere azzerate a patto però, di utilizzare sempre energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili. Cosa non sempre fattibile, ne facile da ottenere, visti i tempi necessari per realizzare impianti di nuova generazione. Paradossalmente si hanno così paesi come la Cina con il maggior numero di EV in circolazione, ma anche il maggior numero di centrali di produzione dell’energia elettrica a carbone.

Il modo in cui viene ottenuta l’energia elettrica inviata alle colonnine di ricarica delle auto a batteria fa la differenza sulle emissioni di CO2 “dal pozzo alla ruota” (che considerano altre all’impiego della vettura, anche la produzione dell’energia necessaria per l’alimentazione dell’accumulatore).
Un confronto corretto dunque, deve prendere in considerazione anche la media delle emissioni di CO2 per la produzione dell’elettricità: nell’esempio citato per la Cina il valore è di 711 g/km, contro i 432 dei Paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), a causa proprio dell’utilizzo estensivo del carbone per alimentare le centrali termoelettriche.

L’Unione europea ha stabilito che l’85% del peso di un’auto debba essere riciclato e riusato e che il 10% debba essere impiegato come recupero energetico. Questa attività viene affidata a centri specializzati o a consorzi che si occupano ad esempio dei pneumatici. Tutte queste operazioni comportano però l’utilizzo di macchinari che richiedono energia.
Quando le batterie/accumulatori non sono più adatte all’impiego sul veicolo, queste possono ancora essere utilizzate come accumulatori stazionari, rinviando anche di molti anni il processo di riciclaggio. Questo consente da una parte di recuperare il prezioso materiale che contengono ma che dall’altra comporta elevate missioni di anidride carbonica per le fasi industriali di disassemblaggio ed estrazione.

Fonte: ARPAT

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