Sono ex dipendenti indiani della Union Carbide.
Gli imputati rischiano una pena massima di due anni, molti familiari delle vittime sono tornati a chiedere la pena capitale per i responsabili.
Fra gli otto imputati, tutti dipendenti indiani della fabbrica, non figura, perché latitante, lo statunitense Warren Anderson, ai tempi della tragedia di Bhopal presidente della Union Carbide Corporatio.
Arrestato nel 1984 e rilasciato dietro cauzione da un tribunale dello Stato del Madhya Pradesh Anderson, 81 anni, è considerato il responsabile principale del disastro, ma essendo in stato di latitanza non ha potuto essere processato.
Il 31 luglio 2009 la magistratura indiana ha formato un mandato di arresto nei confronti di Anderson che però fino ad oggi non è stato eseguito dalla polizia.
IL DISASTRO – Nella notte fra il 2 e il 3 dicembre 1984, una nube altamente tossica fuoriuscì dalla fabbrica della Union Carbide India Limited (UCIL) di Bhopal, filiale indiana di uno dei giganti americani della chimica: i morti furono migliaia, tra 8.000 e 10.000 secondo il Centro di ricerca medica indiana, oltre 25.000 secondo Amnesty International.
Ad oggi si calcola che le vittime siano 20.000 e che 500.000 persone abbiano subito patologie di differente gravità per le conseguenze dell’inquinamento di terra, aria e acqua.
IMPIANTO ABBANDONATO – A un quarto di secolo di distanza, l’impianto giace abbandonato e dietro i suoi pesanti portoni d’acciaio c’è quello che gli ambientalisti definiscono «un disastro nel disastro», un luogo ormai altamente inquinato che, secondo nuovi studi, sta lentamente avvelenando l’acqua potabile per migliaia di indiani.
(Pa-Ro)