Cassazione Penale, Sez. 4, 08 ottobre 2025, n. 33194 – Responsabilità colposa del vicebrigadiere per omicidio in esercitazione: conferma della condanna.
La Corte di appello ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale con la quale l’imputato è stato condannato in relazione al reato di cui all’art. 589 cod. pen. per avere, quale vicebrigadiere dei Carabinieri, causato per colpa il decesso del collega appuntato. Durante una esercitazione, che implicava l’utilizzo di una mitraglietta M12, l’imputato, ritenendo erroneamente che l’arma fosse scarica, esplodeva un colpo all’indirizzo della persona offesa cagionandone la morte. Il profilo di colpa contestato consiste nella negligenza, imprudenza e imperizia rappresentate dall’avere utilizzato, per l’addestramento in bianco, in qualità di più alto in grado, una mitraglietta M12 senza procedere alla rimozione del relativo caricatore e alla verifica che l’arma fosse scarica, senza, peraltro, utilizzare il dispositivo fondamentale di sicurezza rappresentato dalle “asticelle” che avrebbero impedito l’alimentazione della camera di cartuccia e reso evidente a tutti i presenti la messa in sicurezza dell’arma.
Avverso la sentenza l’imputato ha proposto ricorso.
I motivi di ricorso sono infondati valutati alla luce di queste premesse:
– in relazione alla affermazione della responsabilità dell’imputato, la sentenza di appello oggetto di ricorso ha confermato la decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Tribunale, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (fra le tante: Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 – 01);
– è preclusa al giudice di legittimità, a meno che non si rivelino fattori di manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito (cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).
I giudici di merito hanno osservato che all’imputato è stato contestato di avere effettuato l’esercitazione non rispettando regole di sicurezza che erano a lui direttamente riconducibili in quanto utilizzatore dell’arma.
Il Tribunale ha ravvisato tre violazioni delle regole di sicurezza: non avere proceduto alla rimozione del caricatore dell’arma usata nell’addestramento, non avere verificato che l’arma fosse scarica e non avere utilizzato il dispositivo di sicurezza chiamato safety stick; la Corte territoriale ha ritenuto, invece, che il mancato uso di tale ultimo dispositivo non rilevasse quale profilo di colpa osservando che il suo impiego non era imposto, né specificamente disciplinato, e la prassi prevedeva che fosse usato solo nelle esercitazioni in luoghi accessibili da terzi estranei. Entrambe le sentenze, però, hanno evidenziato che l’imputato, quale utilizzatore dell’arma, aveva l’obbligo giuridico di verificare che, nel corso dell’esercitazione, la stessa fosse inoffensiva e hanno concluso che tale verifica non avvenne o, comunque, non fu eseguita con la necessaria diligenza.
Secondo i giudici di merito l’imputato ha ricevuto, impugnato e usato l’arma senza previamente verificare che il relativo caricatore fosse stato svuotato o senza previamente verificare che nella canna dell’M12 non fosse rimasto alcun proiettile pronto ad esplodere in caso di azionamento del grilletto. A tali conclusioni i giudici di merito sono pervenuti, innanzitutto, sulla scorta di quanto riferito dallo stesso imputato che ha affermato, con nitido ricordo, che nel corso dell’esercitazione l’arma fu cambiata e ciò comportava che tutti i controlli di sicurezza dovessero essere ripetuti.
I giudici di merito hanno ritenuto accertato, dato che non è stato messo in discussione dalla difesa, che l’arma dalla quale è partito il colpo letale fosse quella imbracciata dall’imputato. Non è controverso neppure che l’arma utilizzata all’inizio dell’esercitazione fosse la M12 dell’imputato, sprovvista di cinghia, e che l’arma fu sostituita nel corso dell’esercitazione con quella dalla quale partì il colpo, munita di cinghia, che era stata ritenuta più funzionale allo svolgimento dell’esercitazione. I giudici di merito sul punto hanno valorizzato la circostanza che proprio l’imputato, ricordando della sostituzione dell’arma, aveva ammesso di avere ritenuto che la mitraglietta fosse stata disarmata da chi gliel’aveva passata, pur aggiungendo di aver verificato che non fosse presente il caricatore.
Il Tribunale prima e la Corte territoriale poi, sviluppando una argomentazione scevra da profili di contraddittorietà o manifesta illogicità e coerente con le emergenze acquisite, hanno passato in rassegna le doglianze difensive facendo proprie le conclusioni del consulente del Pubblico Ministero secondo il quale l’arma in questione non può sparare senza caricatore inserito, salvo che non venga inserita manualmente la munizione nella camera di cartuccia (un’eventualità quest’ultima che esula dal novero delle ipotesi plausibili).
I giudici di merito sono giunti alla conclusione, coerente con le emergenze acquisite e non certo illogica, che le operazioni di messa in sicurezza, regolarmente eseguite sulla prima arma, priva di cinghia, usata nell’esercitazione siano state omesse sulla seconda dotata della cinghia.
Fonte: Olympus.uniurb


