Infatti, incombe sul datore il compito di dimostrare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure» necessarie a evitarlo.
Al dipendente, dunque, basta dimostrare:
– l’esistenza del rapporto lavorativo
– il danno subito
– e il nesso con la prestazione svolta.
Lo precisa la Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 17585/2013.
Protagonista della vicenda un’impiegata bancaria, presente in occasione di diverse rapine avvenute nella sede in cui prestava servizio.
Ma l’istanza viene respinta dai giudici di merito.
La Corte d’appello, in particolare, rileva che la donna non ha prodotto né provato l’omessa predisposizione da parte del datore di misure di sicurezza idonee a evitare i crimini.
Le uniche allegazioni, infatti, riguardavano la «paura» e il «disagio» manifestati nell’immediatezza dei fatti e la tardiva installazione di porte antirapina, avvenuta solo dopo i primi due episodi.
Contro la sentenza, arriva il ricorso: non spetta al dipendente – sostiene la difesa dell’impiegata – provare l’assenza di adeguati dispositivi di sicurezza. Piuttosto, è il datore a dover dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire che il danno si verifichi.
La tesi è accolta dalla Cassazione. L’obbligo di sicurezza posto a carico della banca in favore della donna, spiega la Corte, è collegato alla disciplina sulla tutela del lavoro (articolo 2087 del Codice civile).
Il dovere di proteggere il dipendente dagli infortuni va quindi ricondotto tra le obbligazioni contrattualmente assunte dal datore.