Cassazione: gestione dei rifiuti e delle terre e rocce di scavo

Alcuni principi rilevanti dalla Sentenza della Cassazione sul processo CAVET

Cassazione: gestione dei rifiuti e delle terre e rocce di scavo

Alcuni principi rilevanti dalla Sentenza della Cassazione sul processo CAVET

La Sentenza della Cassazione Penale n. 32797 del 29-07-2013 inerente il cosiddetto processo “CAVET” costituisce un importante riferimento per alcuni aspetti di carattere ambientale. Di seguito una sintesi molto essenziale della corposa sentenza:

In fatto
L’elemento unificante la complessa vicenda processuale è rappresentato dalla progettazione ed esecuzione dei lavori finalizzati a realizzare una linea ferroviaria di alta velocità nel tratto Firenze-Bologna linea comportante lo scavo e la sistemazione di lunghi tratti di galleria e un significativo impatto sull’ambiente tanto con riferimento alle operazioni miranti alla operatività della linea ferroviaria quanto con riferimento alla gestione dei cantieri, alla movimentazione di ingenti quantità di materiali e alla gestione e sistemazione degli stessi.
Le contestazioni mosse agli imputati riguardano:
– i responsabili del consorzio d’imprese Cavet

nonchè i
– i gestori delle cave e dei siti di deposito dei materiali di risulta, gli intermediari, i trasportatori, i responsabili dei cantieri.

In diritto
In parziale riforma della sentenza di appello la Cassazione enuncia alcuni principi rilevanti.

1) In tema di tutela dell’ambiente, le rocce e le terre da scavo che presentino sostanze esterne inquinanti sono sottratte alla disciplina sui rifiuti solo in presenza:
– a) di caratteristiche chimiche che escludano una effettiva pericolosità per l’ambiente;
– b) di approvazione di un progetto che ne disciplini il reimpiego;
– c) di prova dell’avvenuto rispetto dell’obbligo di reimpiego secondo il progetto.

Nella fattispecie lo smarino, ovvero il materiale da scavo delle gallerie, in quanto destinato ad essere abbandonato in discarica, é stato qualificato come rifiuto.

2) Ai fini dell’integrazione del reato di gestione di discarica non autorizzata, il mancato esercizio dell’attività di controllo e vigilanza della stessa, anche dopo la cessazione dei conferimenti, lungi dal rientrare in un generico obbligo di eliminare le conseguenze del reato già perfezionato ed esaurito o dall’integrare il reato ex art. 257 del D.Lgs. n. 252 del 2006, relativo alla bonifica dei siti inquinati, é parte costitutiva del reato di gestione di discarica ambientale.

In applicazione del principio la Corte ha annullato la sentenza che aveva ritenuto di fissare la cessazione della permanenza del reato di gestione di discarica non autorizzata in coincidenza con l’ultimo conferimento.

La permanenza del reato cessa secondo la Corte :
– o con il venir meno della situazione di antigiuridicità per rilascio dell’autorizzazione amministrativa, per la rimozione dei rifiuti o per la bonifica dell’area;
– o con il sequestro che sottrae al gestore la disponibilità dell’area,
– o, infine, con la pronuncia della sentenza di primo grado.

3) Il principio di retroattività della norma più favorevole trova applicazione soltanto qualora la disciplina sopravvenuta incida direttamente sulla fattispecie tipica.

In applicazione del principio la Corte ha affermato che con riguardo al reato di omessa bonifica, i nuovi valori e la nuova metodologia di accertamento previsti dagli artt. 239 e ss., D.Lgs. n. 152 del 2006, si applicano a quelle discariche e siti le cui procedure, avviate anteriormente all’entrata in vigore di detto decreto, siano proseguiti successivamente ad esso, restando le condotte, cessate anteriormente, collegate ai presupposti previsti dall’art. 17 D.Lgs. n. 22 del 1997

Fonte: ARPAT

Approfondimenti

Precedente

Prossimo