Cassazione Penale, Sez. 4, 11 giugno 2025, n. 22013 – Caduta dall’alto durante i lavori di riparazione sul tetto del capannone aziendale. La responsabilità del committente sussiste anche in assenza di un formale contratto di lavoro.
La Corte d’Appello ha confermato la sentenza del Tribunale di condanna dell’imputato, in qualità di titolare della ditta committente dei lavori, in ordine al delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni del lavoratore.
Il processo ha ad oggetto un infortunio sul lavoro ricostruito nelle sentenze di merito conformi nel modo seguente: dopo che l’imputato aveva affidato al lavoratore l’incarico di riparazione/sostituzione delle lamiere di metallo posizionate come copertura del capannone della sua ditta, nel corso della esecuzione di tali lavori, una parte in plexiglass aveva ceduto e il lavoratore era caduto nell’apertura venutasi a creare da un’altezza di 6/7 metri morendo sul colpo.
Nei confronti dell’imputato sono stati individuati, quali profili di colpa, la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia e l’inosservanza delle norme prevenzione infortuni sul lavoro e in particolare dell’art. 26 lett. a) e b) e dell’art. 148 D.Lgs. n. 9 aprile 2008 n. 81, per non aver previamente verificato la idoneità tecnico professionale del soggetto incaricato, per non avergli fornito informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro e per non avere verificato che la copertura fosse capace di sostenerne il peso corporeo.
Avverso la sentenza, è stato proposto ricorso formulato in un unico motivo ossia l’assenza di un rapporto di lavoro fra l’imputato e la vittima. Secondo il ricorrente la Corte di appello avrebbe ritenuto pacifica la sussistenza di tale rapporto mentre dall’analisi del compendio probatorio non emergerebbe alcuna circostanza che possa legittimare siffatte conclusioni e tale da far desumere in capo all’imputato una posizione di garanzia rispetto alla vittima.
Il ricorso, incentrato sulla sussistenza di una posizione di garanzia in capo all’imputato, deve essere dichiarato inammissibile.
La Corte di appello ha richiamato e riportato per esteso la motivazione della sentenza di primo grado nella quale si era dato atto che:
– in forza del principio di effettività, l’obbligo dell’approntamento delle misure di sicurezza non è necessariamente collegato alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, ma inerisce a qualsiasi fattispecie di lavoro prestato anche a titolo di amicizia, per riconoscenza, o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato o autonomo;
– l’istruttoria nel caso di specie aveva chiarito che l’imputato, titolare della ditta, era solito affidare lavori occasionali alla vittima e, in relazione ai fatti oggetto del processo, lo aveva, appunto, incaricato di effettuare, anche per il tramite di altre persone, lavori sulla copertura del capannone di detta ditta;
– per effetto di tale incarico l’imputato, quale datore di lavoro e committente dell’opera, conformemente a quanto sancito dall’articolo 26 comma 1 lettera a) nn. 1 e 2 D.Lgs. n. 81/2008, avrebbe dovuto verificare se il lavoratore, iscritto alla Camera di Commercio quale addetto alla riparazione di pallet in legno, avesse effettivamente competenze tecniche per eseguire il lavoro affidatogli; avrebbe dovuto fornire al medesimo dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui era destinato a operare e predisporre le opportune misure di prevenzione e protezione; avrebbe dovuto verificare, fermo restando l’obbligo di predisporre misure di protezione collettiva, se la copertura avesse resistenza sufficiente per sostenere il peso di persone e materiali di impiego.
La Corte, in coerenza con tali assunti, ha ribadito che l’imputato, legato alla vittima da rapporto di amicizia ultraventennale, già in passato lo aveva incaricato di effettuare lavori all’interno della sua ditta e in occasione dell’infortunio mortale gli aveva affidato il compito di riparare, anche attraverso l’ausilio di altre persone, la copertura del capannone della sua ditta. Indi, la Corte ha confermato la sua responsabilità in ordine all’infortunio, ricollegandola alla posizione di garanzia da egli assunta in ragione del conferimento di tale incarico e alla inottemperanza degli obblighi su di lui gravanti ai sensi dell’art. 26 e 148 D.Lgs. n. 81/2008.
La censura, a fronte di tale percorso argomentativo, appare manifestamente infondata e, per certi profili, inammissibile.
Fonte: Olympus.uniurb