Cassazione Penale: caduta dell’impiegata amministrativa e postazione di lavoro inadeguata

Cassazione Penale, Sez. 4, 29 luglio 2024, n. 30813 – Caduta dell’impiegata amministrativa: postazione di lavoro eccessivamente angusta e a rischio inciampo.

 

La Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato il datore di lavoro, in quanto Presidente del Consiglio di amministrazione della società Spa, responsabile del reato di cui all’art. 590 cod. pen. in danno della lavoratrice e aveva, altresì, dichiarato la menzionata società responsabile dell’illecito amministrativo ad essa ascritto, in relazione all’infortunio sul lavoro oggetto di causa.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito l’infortunio era avvenuto con le seguenti modalità: la dipendente con funzioni amministrative, impiegata da diversi anni della società, si trovava in magazzino ove aveva la propria postazione di lavoro (scrivania con computer); sopraggiunta una commessa, intenta a cercare delle scarpe da far provare ad un cliente, l’impiegata si era alzata dalla propria sedia per aiutare la collega nella ricerca, ma era inciampata in un carrello appendiabiti (con ruote alla base) lì presente. Cadendo a terra la lavoratrice piegava la gamba e rimanendo incastrata tra il carrello (che le cadeva addosso) e la scaffalatura presente alla parete, riportando le lesioni in atti refertate (“infrazione del polo distale della rotula sinistra”, malattia guarita in 91 giorni).
I giudici territoriali, in estrema sintesi, hanno addebitato al datore di lavoro la colpa consistita nell’aver fatto lavorare la dipendente in un ambiente di lavoro del tutto inadeguato, poiché per significativi periodi dell’anno ingombrato da carrelli contenenti abiti, per i quali non vi era altro posto all’interno del negozio; alla società, la colpevole scelta gestionale in ordine alle dimensioni inadeguate del punto vendita in questione, finalizzata al vantaggio in termini di risparmio di spesa correlato alla mancata predisposizione di un ambiente di lavoro più ampio o ad una diversa organizzazione del sistema di approvvigionamento-conservazione in magazzino delle merci, oltre al costo correlato alla (omessa) formazione dei dipendenti in materia di sicurezza.
Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione l’imputato e la società.

Con riferimento al ricorso del datore di lavoro si osserva che il reato oggetto di imputazione è estinto per intervenuta prescrizione mentre il ricorso proposto dalla società è rigettato.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa ricorrente la Corte di appello, conformemente al primo giudice, ha fatto specifico riferimento al vantaggio per la società, conseguente al risparmio di spesa correlato alla mancata predisposizione di un ambiente di lavoro a norma (più ampio) o, in alternativa, all’organizzazione di un diverso sistema di approvvigionamento-conservazione in magazzino delle merci. Ciò proprio in considerazione del fatto che l’infortunio della dipendente era essenzialmente derivato da una postazione di lavoro eccessivamente angusta e del tutto inadeguata, visto che – secondo quanto insindacabilmente accertato in sede di merito – per significativi periodi il locale era ingombrato da carrelli contenenti abiti, su uno dei quali la persona offesa era inciampata, procurandosi lesioni.
Il riferimento al risparmio di spesa derivante dalla “possibilità di gestire un volume di affari eccessivo rispetto alle esigenze di sicurezza dei lavoratori” appare correlato allo specifico addebito di aver disposto “che la dipendente effettuasse la propria attività lavorativa in un ambiente angusto e con rischio di inciampo”, in violazione dell’art. 64, comma 1, in riferimento all’all. IV, punto 1.4.10 del D.Lgs. n. 81-2008 (disposizione che, in relazione ai requisiti degli ambienti di lavoro, prescrive espressamente che “pavimenti ed i passaggi non devono essere ingombrati da materiali che ostacolano la normale circolazione”).

Fonte: Olympus.uniurb

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