Cassazione Penale: caduta durante le lavorazioni in quota, sentenza annullata con rinvio

Cassazione Penale, Sez. 4, 31 marzo 2025, n. 12357 – Caduta del lavoratore a causa del cedimento di una trave. Contraddittorietà e manifesta illogicità del ragionamento esplicativo dei giudici del merito: annullamento con rinvio.

 

La Corte d’Appello ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 590, aggravato dalla violazione dell’art. 111 D.Lgs. n. 81/2008, ai danni del lavoratore, posto in essere per avere il primo omesso, nella qualità di datore di lavoro della vittima, di dotare il ponteggio collocato all’interno di un vano ascensore, predisposto per consentire l’accesso e la discesa ai diversi piani di calpestio di un palazzo in ristrutturazione, delle necessarie opere provvisionali atte a impedire la caduta durante le lavorazioni in quota.
La ditta dell’imputato si era trovata a operare nel cantiere in forza di un contratto di subappalto con la società appaltatrice e, secondo l’editto accusatorio recepito dai giudici del merito, il lavoratore era stato incaricato di eseguire alcune lavorazioni sul torrino posto sul tetto dell’immobile, cui si accedeva attraverso ponteggi collocati all’interno del vano ascensore, mediante un sistema di botole e scale. Il ponteggio, in particolare, era strutturato con diversi piani di calpestio che venivano innalzati man mano che si procedeva con le lavorazioni; detti piani erano del tutto autonomi e non corrispondevano a quelli dell’edificio e ciascuno di essi era dotato di parapetto, eccezion fatta per l’ultimo, più alto rispetto al piano di calpestio dell’edificio; sul piano di ponteggio più basso rispetto a quello incriminato (dotato, a differenza di quest’ultimo, di parapetto) erano state affisse alcune travi in legno con funzione di parapetto, cosicchè era consentito il passaggio diretto dal piano superiore del ponteggio al piano dell’edificio leggermente più in basso. Il giorno dell’incidente, il lavoratore, invece di utilizzare il sistema di botole con le scale interne al ponteggio, aveva tentato di passare direttamente dal ponteggio superiore al piano dell’edificio posto più in basso, appoggiando i piedi sulla sommità delle citate travi poste a mò di parapetto che, tuttavia, cedevano sotto il peso dell’uomo, provocandone la caduta. Tale dinamica era stata accertata in sede di prime verifiche grazie alle sommarie informazioni rese dalla vittima, agli accertamenti dell’ispettore ASL e alle dichiarazioni di due lavoratori presenti all’accaduto.
Tale dinamica è stata ritenuta corretta dalla Corte del merito, che ha rigettato la tesi difensiva, sostenuta anche in primo grado, secondo la quale sarebbe stato il lavoratore di sua iniziativa a salire sul torrino per eseguire lavorazioni non previste in quella giornata, nella quale si sarebbe dovuto lavorare solo al primo piano.La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto la tesi difensiva smentita, oltre che dalla logica – non sussistendo alcuna ragione per la quale il lavoratore avrebbe dovuto assumere una simile iniziativa – anche dalle dichiarazioni rese da un altro che aveva confermato quelle rese alla polizia giudiziaria, il cui tenore aveva confermato che le lavorazioni da effettuarsi quel giorno, in base alle direttive datoriali, comprendevano anche la sistemazione della parete esterna dell’attico all’ultimo piano, sebbene il dichiarante non avesse sentito l’imputato impartirle al lavoratore infortunato. Sul piano controfattuale, poi, i giudici del gravame hanno ritenuto che la presenza del parapetto avrebbe impedito alla vittima di transitare direttamente al sottostante piano dell’edificio e che il suo, pur imprudente comportamento, non aveva rivestito i connotati di abnormità, l’uomo essendosi trovato sul ponteggio in esecuzione di specifica direttiva, nonostante l’assenza del parapetto.
La difesa dell’imputato ha proposto ricorso.

Il ricorso va accolto premettendo che l’impalcatura difensiva poggia su due assunti principali: i giudici del merito avrebbero errato nel ritenere in capo al datore di lavoro della vittima l’obbligo di gestire il rischio di caduta durante le lavorazioni in quota, affermando che la vittima quel giorno non avrebbe dovuto lavorare all’ultimo piano, parimenti osservando che, in base al sistema multilivello della sicurezza, ideato dal legislatore, l’obbligo di gestire quel rischio sarebbe spettato ad altra figura, indicata come responsabile della sicurezza, con rinvio agli artt. 92 e 93, D.Lgs. n. 81/2008; in ogni caso, il nesso di causa sarebbe stato interrotto dal comportamento imprudente della vittima, avventuratasi all’ultimo piano, sebbene la lavorazione avesse riguardato il primo.
Tale premessa impone alcune precisazioni in diritto.
In linea generale, deve ricordarsi che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del soggetto deputato a gestire il rischio, poiché il principio di colpevolezza impone la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte di costui – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire, sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (ex multis, Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco, Rv. 273568 – 01; n. 24462 del 06/05/2015, Ruocco, Rv. 264128 – 01; n. 5404 del 08/01/2015, Corso, Rv. 262033 – 01; n. 43645 del 11/10/2011, Putzu, Rv. 251930 – 01).
La parte ricorrente, peraltro, ha espressamente evocato il modello “collaborativo” della sicurezza -in virtù del quale gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori – pur omettendo di considerare che esso non implica alcun esonero di responsabilità in capo al datore di lavoro all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca il suo obbligo di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (Sez. 4 n. 21587 del 23/03/2007, Pelosi, Rv. 236721 – 01).
Quanto, poi, alle altre figure della sicurezza evocate in ricorso, la difesa, secondo il tenore dell’atto difensivo, sembra avere fatto riferimento a quella del coordinatore per la sicurezza nella fase dell’esecuzione, il cui ruolo assume precipuo rilievo nell’ipotesi di presenza, anche non contemporanea, di più ditte o lavoratori autonomi nel cantiere, in considerazione del rischio interferenziale ingenerato da tale situazione. Ad essa, infatti, il legislatore si riferisce quando descrive alcuni degli obblighi gravanti su tale figura del sistema anti-infortunistico, la cui nomina costituisce, a sua volta, obbligo specifico di altra figura, cioè il committente dell’opera.
La giurisprudenza di questa Corte, peraltro, ha da tempo messo a fuoco il ruolo del coordinatore per la sicurezza, ritenendo che ad esso siano riservati compiti di “alta vigilanza” che si articolano nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel PSC e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori; nella verifica dell’idoneità del POS e nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al PSC; oltre che nell’adeguamento dei piani in relazione alla evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute (in motivazione sez. 4 n. 3288 del 27/09/2016; in senso conforme, sez. 4 n. 44977 del 12/06/2013, Lorenzi, Rv. 257167 – 01; n. 47834 del 26/04/2016, Prette, Rv. 268255 – 01). Tale funzione di alta vigilanza – che si esplica prevalentemente mediante procedure – riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l’obbligo di adeguare il piano di coordinamento e sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (sez. 4, n. 24915 del 10/6/2021, Paletti, Rv. 281489 – 01; n. 2293 del 19/12/2020, dep. 2021, Vasa, Rv. 280695 – 01).
Operata tale premessa, è evidente l’assoluta eccentricità di alcune argomentazioni difensive (…)
La sentenza è annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello.

Fonte: Olympus.uniurb

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