Cassazione Penale, Sez. 4, 24 ottobre 2025, n. 34696 – Caduta di un panettiere su pavimento scivoloso: condanna del datore per omissione del DVR e mancata prevenzione del rischio.
La Corte d’Appello ha confermato la decisione del Tribunale che aveva ritenuto la penale responsabilità dell’imputato, in qualità di legale rappresentante con assunzione della qualità di datore di lavoro, in ordine al reato previsto e punito dall’art. 590, comma terzo, cod. pen., relativamente all’infortunio occorso al lavoratore dipendente mentre era intento a svolgere le mansioni di panettiere. All’atto dell’accensione del forno di cottura il lavoratore, a causa del pavimento bagnato, scivolava, sbattendo il gomito sinistro per terra, a seguito di tale caduta riportava la lussazione del gomito sinistro e il distacco parcellare olecrano, tali da determinare l’astensione assoluta dal lavoro per 90 giorni e reliquati stimati nell’8% di inabilità assoluta per deficit funzionale del gomito. La colpa è stata collegata alla violazione dell’art. 28 D.Lgs. n. 81 del 2008, poiché il datore di lavoro aveva omesso di redigere il Documento di Valutazione dei Rischi, previsto dall’art. 17 dello stesso decreto legislativo, con la consequenziale mancata previsione del rischio di scivolamento e adozione di misure idonee ad impedire il medesimo rischio di scivolamento e violazione anche dell’art. 64 D.Lgs. n. 81 del 2008. L’imputato era stato condannato a una pena di reclusione ed a una multa, con concessione della sospensione condizionale della pena e del beneficio della non menzione.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello, ricorre per cassazione l’imputato articolando due motivi.
Il primo motivo è infondato.
La Corte d’Appello ha ricostruito in fatto, come riferito dalla dottoressa dell’ASL intervenuta sul posto per i relativi accertamenti, che il locale aveva un pavimento scivoloso (tanto che la funzionaria aveva rischiato di cadere pur indossando scarpe antinfortunistiche), non erano presenti cartelli indicanti il pavimento bagnato, erano stati riscontrati la violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro (in particolare l’assenza del documento di valutazione dei rischi), la mancata sottoposizione del lavoratore a visita medica, la mancata nomina del medico competente e la mancata formazione dei lavoratori. Tali circostanze erano state confermate dai colleghi dipendenti della vittima, secondo i quali durante la preparazione degli impasti poteva capitare che gli ingredienti utilizzati cadessero accidentalmente nel pavimento che veniva prontamente asciugato dai panettieri, mentre il lavaggio completo del pavimento avveniva ad opera delle addette alle pulizie a fine lavorazione. Inoltre, i dipendenti erano soliti utilizzare le calzature antinfortunistiche; nel laboratorio erano presenti i cartelli con la scritta “attenzione”, per cui probabilmente il lavoratore infortunato era scivolato sull’acqua sversata accidentalmente durante la lavorazione dell’impasto. Anche la persona offesa aveva dichiarato che la causa dello scivolamento era dovuta alla caduta accidentale dell’acqua durante la lavorazione dell’impasto, mentre non poteva essere ricollegata al lavaggio dei pavimenti che veniva effettuato la mattina successiva al termine della lavorazione, come invece riferito nel corso delle indagini; il lavoratore aveva riferito che durante lo svolgimento dell’attività lavorativa venivano utilizzate le scarpe antinfortunistiche e che ove capitasse di bagnare il pavimento i dipendenti si premuravano di pulire e di attendere che il pavimento asciugasse, avvisando anche i colleghi per prestare maggiore attenzione.
Si è così appurato che il rischio di caduta, in quanto frequente, concreto e non eliminabile, doveva essere valutato attentamente dal datore di lavoro attraverso la redazione del Documento di Valutazione dei Rischi e adottando le misure preventive idonee a fronteggiare il pericolo o almeno a ridurre non poteva, invece, essere lasciato ad iniziative autonome ed estemporanee degli stessi lavoratori (quali la pronta asciugatura o gli avvisi reciproci) proprio in quanto il rischio di caduta accidentale dell’acqua era connaturato alla lavorazione svolta dai dipendenti.
La motivazione del provvedimento impugnato, dunque, è esente da censure sia nella ricostruzione fattuale, corrispondente a quanto effettivamente avvenuto, sia in diritto, avendo la Corte territoriale dato conto e ragione delle omissioni del datore di lavoro, dalla mancata adozione del DVR alla mancata realizzazione di una pavimentazione adeguata, cui è eziologicamente ricollegabile l’infortunio, che non si sarebbe verificato in presenza di un pavimento con caratteristiche conformi a quanto prescritto dall’allegato IV del D.Lgs. 81/2008, che, nel disciplinare i requisiti dei luoghi di lavoro, prevede che: “i pavimenti dei locali devono essere fissi, stabili ed antisdrucciolevoli nonché esenti da protuberanze, cavità o piani inclinati pericolosi (art. 1.3.2); “nelle parti dei locali dove abitualmente si versano
sul pavimento sostanze putrescibili o liquidi, il pavimento deve avere superficie unita ed impermeabile e pendenza sufficiente per avviare rapidamente i liquidi verso i punti di raccolta e scarico” (art. 1.3.3); “quando il pavimento dei posti di lavoro e di quelli di passaggio si mantiene bagnato, esso deve essere munito in permanenza di palchetti o di graticolato, se i lavoratori non sono forniti di idonee calzature impermeabili’ (art. 1.3.4)”.
La Corte territoriale ha accertato che dal verbale di sopralluogo effettuato emergeva che la pavimentazione del locale dove si verificò l’infortunio era costituita da piastrelle di gres lisce e che la presenza di farina lo rendeva scivoloso nonostante l’utilizzo delle scarpe antinfortunistiche. Inoltre l’imputato non aveva fornito alcuna indicazione ai dipendenti – neppure in via informale – come chiaramente emerso dalle dichiarazioni dell’infortunato che rispondendo alla domanda specifica se la consuetudine di asciugare il pavimento e avvisare gli altri lavoratori provenisse da una disposizione del datore di lavoro, aveva dato risposta negativa, confermando che l’adozione di quelle cautele costituivano unicamente una iniziativa dei lavoratori, pertanto ascrivibile al loro mero “buon senso”.
Il secondo motivo merita accoglimento.
Nel caso di specie la pena detentiva e quella pecuniaria non potevano essere congiuntamente applicate. L’applicazione, di una pena congiunta, detentiva e pecuniaria, in luogo di quella alternativa prevista per legge, costituisce una pena illegale in quanto determina un trattamento sanzionatorio “contra ius”, cui non può essere posto rimedio con la procedura della correzione dell’errore materiale, comportando invece la necessità di annullamento della sentenza con rinvio per la rideterminazione della pena” (Sez. 3, n. 28360 del 04/04/2019, Argentiero, Rv. 276233).
Fonte: Olympus.uniurb


