Cassazione Penale, Sez. 3, 18 settembre 2025, n. 31259 – Caduta dalla scala portatile inadeguata e decesso a seguito di complicazioni mediche. Nesso di causa non interrotto.
In materia di responsabilità per infortuni sul lavoro, il nesso causale tra la condotta colposa dell’agente e l’evento morte non si considera interrotto da una successiva condotta sanitaria, anche se colposa, salvo che tale condotta costituisca una causa autonoma, imprevedibile e da sola sufficiente a determinare l’evento lesivo.
La vicenda giudiziaria in esame riguarda l’imputazione a carico dell’imputato, responsabile della sicurezza della società di allestimenti, per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro (art. 7, commi 1 e 4, D.Lgs. n. 81 del 2008).
Secondo l’accusa, l’imputato avrebbe causato per colpa – mettendo a disposizione una scala portatile inadeguata alle condizioni in cui il lavoro doveva essere svolto e consentendogli di utilizzare in maniera non conforme alle condizioni di utilizzo in sicurezza – il decesso del lavoratore dipendente, il quale mentre era intento alla rimozione di una pellicola protettiva da un pannello collocato a un’altezza di 2,70 metri, precipitava da detta scala utilizzata per raggiungere tale quota, riportando lesioni gravissime che ne determinavano il decesso avvenuto alcuni mesi successivi.
L’imputato avverso l’ultima pronuncia della vicenda giudiziaria ha nuovamente proposto ricorso per Cassazione.
Il ricorso è inammissibile.
La doglianza del ricorrente non incrina la coerenza logica e giuridica della ricostruzione dei fatti operata in sentenza. Elemento centrale del giudizio di merito è stato l’accertamento del nesso di causalità tra l’incidente e il decesso, con particolare attenzione alla possibilità che la condotta dei sanitari abbia interrotto il nesso eziologico tra l’evento lesivo e l’esito letale.
È accertato, secondo la valutazione dei giudici di merito, che il lavoratore, a seguito della caduta riportò una lesione al diaframma la quale si rivelò eziologicamente determinante ai fini del decesso.
La Corte territoriale ha correttamente ritenuto sussistente una condotta colposa da parte dei sanitari, come emergente dalla consulenza tecnica difensiva, nella quale si evidenzia omessa formulazione di una diagnosi corretta e il ritardo significativo nell’esecuzione dell’intervento chirurgico (“lesione al diaframma non fu immediatamente individuata dai sanitari e, conseguentemente, non venne tempestivamente trattata, nonostante fosse necessario un intervento chirurgico non particolarmente complesso per ripristinare la chiusura del diaframma ed impedire la comunicazione tra polmoni e addome, evitando così il passaggio di elementi patogeni verso la cavità addominale, che ha innescato l’infezione evoluta in setticemia”).
Alla luce delle considerazioni che precedono deve affermarsi il principio secondo cui in materia di responsabilità per infortuni sul lavoro, il nesso eziologico tra la condotta originaria e l’evento morte non può ritenersi interrotto per effetto di una successiva condotta colposa dei sanitari, ove quest’ultima non si configuri come causa autonoma, imprevedibile e da sola sufficiente a determinare l’evento lesivo.
In tale prospettiva va rilevato che la Corte ha fatto corretta applicazione dell’orientamento giurisprudenziale indicato, evidenziando, con motivazione logica, congrua e giuridicamente corretta – e pertanto insuscettibile di censure in sede di legittimità – che “nella mancata diagnosi della lesione e nel progredire della malattia non vi è stato nulla di anomalo o eccezionale che possa dirsi abbia innescato un processo causale completamente nuovo”.
Tale affermazione, coerente con i consolidati criteri ermeneutici elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di concorso di cause, conduce alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza.
Fonte: Olympus.uniurb