Cassazione Penale: in caso di morti da amianto, il datore di lavoro ne risponde quando non abbia adottato ulteriori misure preventive

La Suprema Corte, IV Sezione Penale, con la sentenza del 16 marzo 2015 n. 11128/15 ha affermato che in caso di morti da amianto, il datore di lavoro ne risponde, anche quando, pur avendo rispettato le norme preventive vigenti all’epoca dell’esecuzione dell’attività lavorativa, non abbia adottato le ulteriori misure preventive necessarie per ridurre il rischio concreto prevedibile di contrazione della malattia, assolvendo così all’obbligo di garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro.

La Corte di Cassazione con questa sentenza ha affermato che “in tema di responsabilità colposa per violazione di norme prevenzionali, la circostanza che la condotta antidoverosa, per effetto di nuove conoscenze tecniche e scientifiche, risulti nel momento del giudizio produttiva di un evento lesivo, non conosciuto quale sua possibile implicazione nel momento in cui è stata tenuta, non esclude la sussistenza del nesso causale e dell’elemento soggettivo del reato sotto il profilo della prevedibilità, quando l’evento verificatosi offenda lo stesso bene alla cui tutela avrebbe dovuto indirizzarsi il comportamento richiesto dalla norma, e risulti che detto comportamento avrebbe evitato anche la lesione in concreto attuata (Sez. IV, n. 988 del 11.7.2002, Rv. 227000). Infatti, in caso di morti da amianto, il datore di lavoro ne risponde, anche quando, pur avendo rispettato le norme preventive vigenti all’epoca dell’esecuzione dell’attività lavorativa, non abbia adottato le ulteriori misure preventive necessarie per ridurre il rischio concreto prevedibile di contrazione della malattia, assolvendo così all’obbligo di garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro (Sez. IV, n. 5117 del
22.11.2008, Rv. 238778, Biasotti ed altri).”

Inoltre “le patologie tumorali (sia il carcinoma polmonare che il mesotelioma) devono considerarsi dose-correlate, nel senso che il loro sviluppo, in termini di rapidità e gravità, appare condizionato dalla quantità di sostanza cancerogena inalata dal soggetto. Ne consegue che, a prescindere dall’individuazione della dose-innescante, le esposizioni successive e, quindi, le ulteriori dosi aggiuntive devono essere considerate concausa dell’evento proprio perchè esse abbreviano la latenza ed anticipano di conseguenza l’insorgenza della malattia, accorciano la latenza, aggravano la patologia e, nei casi estremi, anticipano la morte. E’ noto, infatti, che la degenerazione delle cellule possiede uno sviluppo estremamente lento, tanto che si parla ordinariamente di tempi di latenza. Deve, quindi, affermarsi che in tutte le patologie per cui è processo, il rischio aumenta all’aumentare della dose e che indubbia rilevanza causale posseggono gli effetti cumulativi delle esposizioni successive rispetto a quella iniziale. Il che significa, conseguentemente, che sussiste un rapporto esponenziale della dose di cancerogeno assorbita in termini di risposta tumorale, per cui l’aumento della detta dose di cancerogeno assorbito non potrà che comportare evidentemente un accrescimento della frequenza con cui il tumore tende a manifestarsi e che, “a contrario”, un’eventuale riduzione dell’intensità o durata dell’esposizione lavorativa all’amianto avrebbe causato una riduzione del rischio di contrarre le patologie per cui oggi e processo.”

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