Cassazione Penale, Sez. 4, 11 settembre 2024, n. 34222 – Operaio seppellito dal cedimento della parete dello scavo. Nesso di causalità con le presunte omissioni del CSE e ruolo di alta vigilanza.
La sentenza della Corte di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena nei confronti dell’imputato in relazione al reato di cui all’articolo 589 cod. pen., per avere, nella qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di programmazione ed esecuzione del cantiere (CSE), cagionato per colpa la morte del lavoratore deceduto – mentre si trovava all’interno di uno scavo realizzato per la posa di un impianto fognario – a seguito del cedimento della parete dello scavo che non era stato puntellato.
L’addebito nei confronti dell’imputato è quello di avere redatto il piano di sicurezza e coordinamento (PSC) in assenza di adeguate prescrizioni in relazione ai rischi specifici delle lavorazioni, senza indicare le misure preventive e protettive, le tavole esplicative, le misure di coordinamento, le procedure complementari o di dettaglio da esplicare nel piano operativo di sicurezza.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato.
La sentenza impugnata è annullata e rinviata per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello.
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
La motivazione della sentenza impugnata appare carente e generica, con specifico riferimento alla problematica del nesso di causalità fra l’asserita omissione addebitata all’imputato e l’evento mortale, la Corte distrettuale si limita a sottolineare la “genericità è vaghezza delle indicazioni contenute nel PSC, che potrebbero attagliarsi a qualsivoglia tipo di scavo e che sottovalutano il rischio di smottamento…”; senza, tuttavia, approfondire e spiegare le ragioni per cui la generale previsione contenuta nel PSC originario – secondo cui le pareti di qualsiasi scavo operato nel cantiere, avente altezza superiore a 1,50 mt., dovevano essere puntellate – avrebbe contribuito causalmente alla verificazione dell’incidente.
In realtà, come già visto, il rischio di cedimento delle pareti era espressamente previsto nel PSC per qualsiasi tipo di scavo (operato per qualsiasi lavorazione) avente profondità superiore a mt. 1,50, come nel caso, pertanto, a rigore, le ditte esecutrici dei lavori avrebbero dovuto comunque uniformarsi a tale prescrizione, indipendentemente dalle ragioni per cui doveva essere eseguito lo scavo.
Non risulta poi adeguatamente chiarito, dai giudici territoriali, se la responsabilità del prevenuto, nella sua qualità di CSE, sia correlata ad una condotta di omessa vigilanza, dovendosi in proposito rammentare il principio secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori – che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato – riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l’obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (cfr. Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021, Rv. 281489 – 01).
Nella specie, non è stato puntualmente spiegato se, tenuto conto dei tempi e delle modalità di esecuzione dello scavo, il CSE, in relazione alle sue funzioni di alta vigilanza – che non contemplano un controllo quotidiano dei lavori – aveva avuto la possibilità di accorgersi della situazione di pericolo correlata al mancato puntellamento dello scavo, in maniera tale da rendere doveroso un suo intervento finalizzato ad imporre il rispetto del PSC da parte delle imprese interessate.
Fonte: Olympus.uniurb