Cassazione Penale: infortunio causato dallo sfondamento del piano di calpestio del soppalco

Cassazione Penale, Sez. 4, 26 giugno 2023, n. 27599 – Sfondamento del piano di calpestio del soppalco. Nessun comportamento abnorme

 

La Corte d’appello ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale nei confronti dei soci amministratori, concedendo agli imputati il beneficio della non menzione e confermando – nel resto – la sentenza di primo grado con la quale gli stessi erano stati condannati in relazione al reato previsto dall’art. 590 c.p.
Era contestato agli imputati di avere cagionato colposamente al dipendente della società, lesioni personali di durata superiore ai quaranta giorni, consistenti in trauma vertebro-midollare con frattura; colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia nonchè nella violazione delle norme antinfortunistiche che impongono la solidità e stabilità delle opere e strutture presenti sul luogo di lavoro e che prevedono che i pavimenti degli ambienti di lavoro e dei luoghi destinati al passaggio siano in condizioni tali da rendere sicuro il transito e il movimento delle persone – in relazione all’art. 63, comma 1, in combinato con l’art. 64, comma 1, del T.U. emesso con D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 – avendo realizzato al di sopra del piano uffici dell’azienda un soppalco adibito a magazzino senza effettuare un preventivo calcolo dei carichi che lo stesso avrebbe dovuto e potuto sopportare, utilizzando materiale non idoneo, presso il quale il lavoratore aveva fatto accesso e da cui, a causa dello sfondamento del piano di calpestio, era precipitato al suolo riportando le suddette lesioni.
La Corte territoriale, nel condividere le argomentazioni del Giudice di primo grado, ha ricostruito il fatto sulla base della allegata documentazione fotografica e delle dichiarazioni della persona offesa, oltre che del tecnico della prevenzione ASL che aveva effettuato un sopralluogo nell’immediatezza del fatto.
Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi per cassazione gli imputati.

I ricorsi vanno rigettati.
Nel caso di specie la richiesta si fonda sulla dedotta contraddittorietà delle dichiarazioni rese da un teste rispetto a quelle della persona offesa, in relazione alla quale la Corte d’appello – con valutazione logica e immune da censure – ha invece dato atto della coincidenza dei rispettivi nuclei centrali delle testimonianze. I ricorsi ripropongono in modo pedissequo argomenti già prospettati di appello, ai quali la Corte territoriale ha dato adeguate risposte. In particolare, le deduzioni contenute nei motivi di ricorso mirano – per la loro gran parte – a sollecitare una rivalutazione nello stretto merito della sentenza da parte di questa Corte, peraltro non consentita in sede di legittimità essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, P.v. 234559; sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, B., Rv. 280601).
Ed infatti, è stato più volte ribadito che la Corte di cassazione non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 dèl 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099), restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716).

In particolare le argomentazioni illustrate appaiono unicamente tese a sollecitare una rivalutazione dei dati fattuali operati dalle due sentenze di merito e da questi esaminati con motivazione intrinsecamente coerente e immune dai dedotti vizi di illogicità e di travisamento delle prove.
Ci si riferisce, nello specifico:
a) alla circostanza relativa alla realizzazione del soppalco, in ordine alla quale la sentenza di primo grado ha dato analiticamente atto di come sia stato uno degli imputati ad affermare di averlo realizzato, elemento da ritenersi peraltro privo di qualsiasi potenziale incidenza causale sul sinistro, dal momento che indipendentemente dal momento di realizzazione della struttura e dai loro autori, i datori di lavoro avrebbero comunque dovuto predisporre misure idonee a evitare i pericoli connessi all’utilizzazione della struttura medesima da parte dei lavoratori;
b) all’elemento relativo alla effettiva destinazione alla vendita del materiale apposto sul soppalco e al fatto che, per arrampicarsi sulla struttura, fosse necessario utilizzare scale portatili oppure arrampicarsi sugli scaffali adiacenti ovvero utilizzare mezzi di fortuna; si tratta di circostanze di fatto analiticamente esaminate dai giudici di primo e secondo grado sulla base del complesso delle testimonianze acquisite;
c) all’interpretazione delle dichiarazioni del teste in ordine all’effettiva utilizzazione del soppalco da parte dei lavoratori, nelle quali è stato specificamente dato atto di come la stessa presenza di materiale sul tavolato – indipendentemente dalla frequenza della relativa utilizzazione da parte del personale – mostrasse comunque che la struttura era utilizzabile e che i responsabili della società avrebbero dovuto prevedere che qualche dipendente potesse ivi arrampicarsi e stazionare al fine di prelevare dei pezzi di ricambio, a tale proposito va altresì rilevato che in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve comunque vigilare per impedire l’instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 10123 del 15/01/2020, Chironna, Rv..278608; Sez. 4, n. 20092 del 19/01/2021, Zanetti, Rv. 281174);
d) all’elemento fattuale relativo alla mancata apposizione di cartelli di divieto, attestata dalle dichiarazioni del tecnico della prevenzione ASL in ordine alla quale, come dato atto nelle sentenze di merito, la necessità dell’apposizione medesima era insita nella possibilità di accesso alla struttura da parte dei lavoratori.

I ricorrenti hanno altresì sollecitato una nuova valutazione di abnormità del comportamento del lavoratore in quanto la persona offesa avrebbe, di sola propria iniziativa, ricercato il pezzo che gli era stato richiesto non nel magazzino ma presso il soppalco, avendo quindi deciso il lavoratore di sola propria iniziativa di arrampicarsi sulla relativa struttura.
Anche tale specifica censura deve considerarsi infondata, le sentenze di merito hanno specificamente dato atto di come – sulla base delle dichiarazioni della persona offesa – il materiale che gli era stato chiesto di prelevare era stato specificamente collocato proprio al di sopra del suddetto soppalco, elementi che portano a escludere la sussistenza di un profilo di colpa esclusiva in capo al lavoratore. Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, solo al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237).

Fonte: Olympus.uniurb

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