Cassazione Penale, Sez. 4, 21 giugno 2022, n. 23809 – Caduta dalla scala durante un lavoro in quota “in nero”. Definizione di “lavoratore”.
La Corte d’appello ha confermato la sentenza del Tribunale con la quale l’imputato è stato condannato – nella qualità di datore di lavoro dell’infortunato – per il reato di cui all’art. 590, cod. pen. ai danni del predetto lavoratore, aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare: dell’art. 18, comma 1, lett. f), d. lgs. n. 81 del 2008, non avendo fornito al lavoratore, impegnato su sua richiesta in un lavoro in quota, i mezzi di protezione adeguati rispetto alla prestazione lavorativa; dell’art. 18, comma 1, lett. g), stesso decreto, per non aver sottoposto il lavoratore a sorveglianza sanitaria; dell’art. 20, comma 2, lett. h), stesso decreto, per non avere formato il lavoratore. Nella specie, secondo l’editto accusatorio recepito dai giudici del merito, l’imputato aveva incaricato la persona offesa di eseguire “in nero” la rimozione di un pergolato antistante l’esercizio di ristorazione da lui stesso gestito, fornendogli all’uopo la scala dalla quale il lavoratore cadeva, mentre era intento nello svolgimento della mansione assegnatagli.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso l’imputato.
Il ricorso è inammissibile.
La Corte, esaminate le doglianze difensive dell’atto di appello, ha ritenuto di rinvenire la soluzione della questione nella definizione di “lavoratore” offerta dall’art. 2, d. lgs. n. 81/2008 che definisce tale la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato con o senza retribuzione. Ha, pertanto, ritenuto rilevante, non già la qualifica del soggetto, quanto piuttosto il fatto che costui avesse svolto, su richiesta del “datore di lavoro”, nel luogo da questi indicato e con i mezzi da questi messi a disposizione, mansioni lavorative.
Proprio muovendo da tale premessa, il giudice ha ritenuto provato che la persona offesa aveva svolto attività lavorativa (rimozione del pergolato) su richiesta dell’imputato che aveva assunto la qualifica e la conseguente posizione di garanzia di datore di lavoro, al quale competeva pertanto di verificare i rischi inerenti alla prestazione richiesta, informare il lavoratore e dotarlo di strumenti adeguati e idonei a scongiurare l’avverarsi di rischi connessi a quell’attività.
La Corte d’appello ha chiaramente inquadrato la fonte degli obblighi violati dal ricorrente nella figura del datore di lavoro, muovendo dalla definizione contenuta nell’art. 2, del d. lgs. n. 81/2008, riferita al “lavoratore”. Trattasi di premessa corretta, atteso che la definizione di cui alla lett. b) della stessa norma (quella, cioè, di datore di lavoro) deriva dalla prima. Sul punto, pare sufficiente un richiamo al consolidato orientamento dei giudici di legittimità e di questa stessa sezione, per ricordare che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, le norme di cui al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che presuppongono necessariamente l’esistenza di un rapporto di lavoro, come quelle concernenti l’informazione e la formazione dei lavoratori, si applicano anche in caso di insussistenza di un formale contratto di assunzione (sez. 4, n. 38623 del 5/10/2021, Pe., Rv. 282102). Da tale premessa deriva che la stessa definizione di “lavoratore” di cui all’art. 2, comma primo, lett. a), d.lgs. n. 81 del 2008, fa leva sullo svolgimento dell’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale, ed è definizione più ampia di quelle previste dalla normativa pregressa, che si riferivano invece al “lavoratore subordinato” (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla “persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro” (art. 2, comma primo, lett. a, d. lgs. n. 626 del 1994); ne consegue che, ai fini dell’applicazione delle norme previste nel decreto citato, rileva l’oggettivo espletamento di mansioni tipiche dell’impresa (anche eventualmente a titolo di favore) nel luogo deputato e su richiesta dell’imprenditore, a prescindere dal fatto che il “lavoratore” possa o meno essere titolare di impresa artigiana ovvero lavoratore autonomo (sez. 3, n. 18396 del 15/3/2017, Cojocaru, Rv. 269637).
Nella specie, i giudici d’appello, prima di valutare gli obblighi incombenti sull’imputato e la situazione di rischio che egli era tenuto a gestire, hanno correttamente proceduto alla valutazione della natura del rapporto esistente tra lo stesso e la vittima e della situazione fattuale sottostante (accertamento la cui necessità è stata richiamata anche in sez. 4, n. 27305 del 4/4/2017, Massetti, Rv. 270105), posto che la posizione di garanzia – che può essere generata da investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante – deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro (sez. 4, n. 57937 del 9/10/2018, Ferrari, RV. 274774; n. 38624 del 19/6/2019, B., Rv. 277190; n. 37224 del 5/6/2019, Piccioni, Rv. 277629; n. 19558 del 14/1/2021, Mussano, Rv. 281171).
Nel caso in esame, era rimasto accertato che il pergolato, della cui rimozione era stato incaricato l’infortunato, era pertinente a un esercizio di ristorazione gestito dall’imputato e che l’incarico era stato da costui affidato e che, pertanto, attraverso tale conferimento, egli aveva di fatto assunto la gestione dei rischi relativi al campo di lavoro, collocato in quota, stanti le caratteristiche dell’immobile e del manufatto da rimuovere tanto più che gli strumenti erano stati messi a disposizione dall’imputato e, tra questi, la scala utilizzata dal lavoratore, sprovvista dei più basilari presidi di sicurezza, trattandosi di strumento utilizzato semplicemente appoggiandolo alla parete interessata. Rimanendo del tutto indifferente agli obblighi di prevenzione l’imputato aveva fornito per la esecuzione di quel lavoro uno strumento del tutto inadeguato, fonte del rischio poi concretizzatosi. Peraltro, nella specie, si era trattato di un rischio generico di caduta dall’alto, con conseguente esigibilità della condotta da parte del soggetto tenuto a governarlo. La violazione colposa degli obblighi (di formazione del lavoratore e, ancor prima, di dotazione di presidi di prevenzione adeguati) si è posta in diretta correlazione con il rischio che le norme violate erano intese a scongiurare, poiché, come già precisato, la caduta dall’alto, in qualsiasi fase della lavorazione e in qualsiasi posizione il lavoratore si sia venuto a trovare, costituiva proprio la concretizzazione di esso.
Fonte: Olympus.uniurb