Cassazione Penale: infortunio mortale dell’autista durante le operazioni di carico

Cassazione Penale, Sez. 4, 12 novembre 2024, n. 41394 – Infortunio mortale dell’autista durante le operazioni di carico sull’autocarro di lunghe assi di legno.

 

La Corte d’Appello ha riformato la sentenza del Tribunale, con la quale l’imputato è stato condannato per omicidio colposo ai danni del lavoratore, aggravato dalla violazione delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (artt. 77, comma 4 lett. d), 64, comma 1, lett. a), 28, comma 2 lett. d) e 71 comma 2, lett. c) D.Lgs. n. 81/2008), dichiarando la prescrizione delle contravvenzioni di cui al D.Lgs. n. 81/2008, rideterminando la pena e confermando la condanna del predetto per il restante reato, contestatogli per avere, nella qualità di rappresentante legale della ditta e datore di lavoro della vittima, assunto regolarmente con la qualifica di autista, impegnato in un’operazione di carico e scarico di travi di legno su un autocarro, privo di adeguata e specifica capacità professionale e tecnica, cagionato la morte del citato lavoratore, omettendo di consegnargli il casco protettivo previsto nel DVR, disponendo che il lavoro avvenisse in zona non sufficientemente illuminata e omettendo di considerare il rischio derivante dall’impiego di un muletto a forche per movimentare travi lamellari.
La Corte d’Appello, preliminarmente, ha affermato che il compendio probatorio aveva consentito di accertare che, il giorno del sinistro, la vittima e il collega, entrambi con qualifica di autisti, erano stati impegnati, così come nei giorni precedenti, nelle operazioni di trasferimento del materiale pesante (tra cui alcune travi) presso la nuova sede della ditta, servendosi di un autocarro e un muletto. Tuttavia, le travi oggetto delle operazioni erano più lunghe del cassone dell’autocarro e, pertanto, il loro caricamento avveniva appoggiandone solo la parte anteriore al tetto della cabina del mezzo, apponendo delle pedane di legno a fare da “zeppa” per impedire lo scivolamento delle travi, legate da alcune cinghie e bloccate alle sponde laterali del mezzo. L’istruttoria aveva confermato che la lavorazione era quella seguita per prassi e che, solitamente, durante l’esecuzione, la vittima si posizionava a terra lateralmente al veicolo, talvolta salendo sulla cabina. Era pure emerso che dette operazioni avvenivano con modalità pericolose (senza il casco protettivo, senza la qualifica e la formazione specifica) e che, nell’occorso non vi era stata adeguata illuminazione: il fatto era avvenuto verso le 18:00 e il luogo era stato trovato al buio con il gruppo elettrogeno spento ed era stato necessario illuminarlo con i fari di un veicolo.
A fronte delle censure veicolate con il gravame, la Corte territoriale ha osservato che la predisposizione del DVR non esonerava da responsabilità il datore di lavoro in relazione all’adozione di una prassi aziendale in stridente contrasto con esso e che il comportamento del lavoratore non poteva considerarsi abnorme, ma al più imprudente, tale dunque da non scriminare la condotta attribuita.
La difesa dell’imputato ha proposto ricorso.

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Una volta ritenuto dimostrato dai giudici di merito, attraverso un ragionamento esplicativo non scalfito dalle osservazioni difensive, che il lavoratore era stato incaricato insieme ad altro collega con la stessa mansione di autista delle operazioni di spostamento di quelle travi da una sede all’altra della ditta e che quella seguita nell’occorso era una vera e propria prassi lavorativa, gli argomenti difensivi, con i quali si è evocata la abnormità e/o eccentricità del comportamento tenuto dalla vittima tradiscono la loro manifesta infondatezza alla stregua di quello che può considerarsi ormai orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità.
Infatti, è vero che – in materia di prevenzione antinfortunistica – si è passati da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori a uno “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (art. 20 D.Lgs. n. 81/2008), che impone, dunque, anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, Santini, Rv. 266073) e, dunque, dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore” al concetto di “area di rischio” (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, tuttavia, è indubbia la perdurante validità del principio per il quale non può esservi alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All’interno dell’area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi che la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603; n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Orbene, nella specie, la risposta approntata dalla Corte d’Appello alle doglianze formulate con il gravame quanto alla pretesa efficacia interruttiva dell’azione del lavoratore rispetto al nesso causale tra la condotta addebitata e l’evento è del tutto allineata con i principi testé richiamati: il comportamento del lavoratore che la difesa ha definito imprevedibile è stato ritenuto solo imprudente e pienamente coerente con la prassi instaurata sul luogo di lavoro, per la quale le operazioni di carico sull’autocarro di lunghe assi di legno venivano effettuate attraverso accorgimenti di fortuna (quali il posizionamento di una pedana per frenare lo scivolamento naturale del carico), da soggetti le cui mansioni erano diverse e che erano privi di adeguata formazione, in assenza di presidi individuali adeguati, nell’occorso essendo stato anche accertato che il lavoro era stato effettuato in condizioni di scarsa, ove non mancante, illuminazione.
Del tutto inconferente è, dunque, l’osservazione difensiva che rimanda alla non necessità del casco per le mansioni del lavoratore, una volta accertato che egli è morto proprio mentre era intento ad operazioni di carico e non alla guida dell’autocarro o in atto di controllarne il carico; così come inconducente è la circostanza che l’impiego del muletto fosse regolare e che esso fosse idoneo allo scopo, una volta accertato che tale mezzo presuppone comunque l’esperienza del soggetto che lo utilizza. Infine, è inconferente, rispetto all’addebito mosso, la circostanza che la procedura lavorativa corretta fosse prevista nel DVR, una volta ritenuta provata una prassi che se ne discostava nei termini ricostruiti in sentenza (sul punto, sez. 4, n. 26294 del 14/3/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960-01, in cui si è precisato – in ipotesi di prassi contra legem instaurata sotto la sorveglianza di un preposto e foriera di pericoli per gli addetti – che la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche; n. 10123 del 15/1/2020, Chironna, Rv. 278608-01).

Fonte: Olympus.uniurb

Vai al testo completo della sentenza…

Precedente