Cassazione Penale, Sez. 4, 24 novembre 2022, n. 44654 – Caduta dall’alto durante i lavori di sostituzione del solaio del capannone. Nozione di cantiere e di luogo di lavoro.
La Corte d’appello ha condannato l’amministratore unico e legale rappresentante e il datore di lavoro di fatto per il reato di omicidio colposo ai danni del lavoratore deceduto in conseguenza dell’infortunio avvenuto nel corso di lavori di ristrutturazione della copertura di un capannone industriale. Nella specie il lavoratore si era trovato sul cantiere insieme a un collega per prendere le misure onde verificare l’estensione del cestello elevatore per eseguire i lavori sul tetto del capannone, il datore di lavoro era presente e aveva visto i due operai usare il carrello elevatore senza che avessero ricevuto alcuna formazione per quel tipo di lavorazione, né che fossero stati dotati di dispositivi di protezione. L’infortunio era avvenuto mentre gli operai stavano movimentando le lamiere servendosi di una piattaforma il cui contratto di noleggio sarebbe iniziato nei giorni successivi, il lavoratore su richiesta del datore di lavoro aveva il compito di verificare l’idoneità del carrello prima dell’inizio del noleggio. Il datore di lavoro era consapevole della mancanza di un POS e di una corretta ed esaustiva formazione del lavoratore che nel corso dell’attività, cadeva da un’altezza di circa 8 metri all’interno del capannone, riportando lesioni che ne causavano il decesso.
Gli imputati hanno proposto separati ricorsi.
I ricorsi sono inammissibili.
La Corte territoriale ha ritenuto che le evidenze raccolte avessero dimostrato che, sia pur di fatto, il cantiere fosse stato operativo già nei giorni precedenti all’infortunio. A tal fine, ha valorizzato la presenza di ben tre operai e delle macchine noleggiate, sebbene il relativo contratto dovesse iniziare cinque giorni dopo. Del resto, lo stesso Tribunale, nella sentenza appellata, aveva precisato che l’attività da svolgersi quel giorno consisteva nella verifica della idoneità delle macchine, ossia della sufficiente estensione del cestello, implicando al contempo di raggiungere il tetto e di utilizzare il carrello. Il datore di lavoro imputato era stato ben consapevole di ciò in quanto presente in cantiere, tanto da avere raccomandato al lavoratore di stare attento, pur non avendo fornito ai lavoratori alcun presidio di sicurezza, neppure individuale (casco, imbracatura, cintura di sicurezza).
Pertanto, secondo la ricostruzione fattuale contenuta nelle due sentenze di merito, conformi in ordine alla affermazione di responsabilità ai fini d’interesse, il giorno dell’infortunio in quel luogo si era svolta attività edilizia, implicante lavoro in quota, pur se preliminare alla sostituzione del tetto del capannone.
Tale argomentare, peraltro, è perfettamente coerente con quanto già chiarito da questa Corte di legittimità: nella nozione di “luogo di lavoro”, rilevante ai fini della sussistenza dell’obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra infatti ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell’accesso ad essa da parte di terzi estranei all’attività lavorativa (sez. F. n. 45316 del 27/8/2019, Giomi Pietro, Rv. 277292), finalità che possono essere sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro (cfr. sez. 4, n. 12223 del 3/2/2015, dep. 2016, De/mastro, Rv. 266385; sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, dep. 2014, Rv. 258435) e ogni luogo nel quale il lavoratore deve o può recarsi per provvedere ad incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività (sez. 4, n. 43840 del 16/5/2018, Rv. 274265).
In tale ampia nozione rientra per l’appunto l’area di lavoro nella quale insisteva il capannone che costituiva oggetto dell’intervento edile: la vittima, direttamente incaricata dal datore di lavoro, avrebbe dovuto eseguire un’attività propedeutica alla successiva sostituzione della copertura, verificando, mediante uso del cestello elevatore e accesso sulla copertura stessa, la sufficiente capacità di estensione del macchinario già consegnato al cantiere, sebbene in forza di un contratto di noleggio che avrebbe avuto inizio giorni dopo.
In tal modo, il legale rappresentante della società e il datore di lavoro di fatto hanno certamente assunto la gestione dei rischi relativi al campo di lavoro, peraltro collocato in quota, stanti le caratteristiche del manufatto della cui copertura si trattava e del mezzo da impiegarsi per eseguire l’opera da rimuovere; gli stessi strumenti erano stati messi a disposizione dal datore di lavoro e, tra questi, il macchinario noleggiato, a prescindere dalla decorrenza del relativo contratto, stante la disponibilità di esso il giorno dell’infortunio.
Con specifico riferimento alla condotta della vittima, vanno sì confermati i principi ai quali da tempo si attiene questo giudice di legittimità nel valutare gli obblighi di protezione che gravano sugli stessi lavoratori: in materia di prevenzione antinfortunistica, infatti, si è certamente passati da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facciano un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, Santini, Rv. 266073). In altri termini, si è passati, a seguito dell’introduzione del d.lgs 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008, dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore” al concetto di “area di rischio” (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva.
Tuttavia, e ciò va fermamente ribadito anche in questa sede, è sempre valido il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All’interno dell’area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603; n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Nella specie, la Corte ha correttamente evidenziato, sulla scorta degli elementi probatori valutati con un ragionamento non censurabile, che il lavoratore era stato incaricato proprio dal datore di lavoro di effettuare le verifiche della idoneità del macchinario fornito da terzi, verifiche da effettuarsi mediante l’impiego di esso, l’elevazione in quota dell’incaricato senza presidi individuali e l’accesso alla copertura dalla quale poi sarebbe caduto, tanto che lo stesso imputato si era sentito in dovere di raccomandare al lavoratore di essere prudente. Pertanto, nessun rischio eccentrico può dirsi imprevedibilmente introdotto dal lavoratore, la sua condotta ponendosi quale diretta e prevedibile conseguenza delle condotte colpose addebitate agli imputati.
Fonte: Olympus.uniurb