Cassazione Penale: Responsabilità del CSE per la caduta mortale dall’alto di un lavoratore

Cassazione Penale, Sez. 4, 28 dicembre 2018, n. 58375 – Responsabilità di un CSE per la mortale caduta dall’alto di un lavoratore. Impalcati privi di protezioni e mancata sospensione dei lavori.

La giurisprudenza di legittimità, interpretando la disposizione di cui all’art. 92, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 81 del 2008, ha chiarito che in tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore della sicurezza per l’esecuzione dei lavori è pure titolare di un potere dovere di intervento diretto, proprio nei casi in cui abbia contezza di gravi pericoli presenti in cantiere, come avvenuto nel caso di specie.
Ed invero, si è precisato che in tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono affidati dall’art. 5 del D.Lgs. n. 494 del 1996, ha una autonoma funzione di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, ma non è tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l’obbligo, previsto dal citato art. 92, lett. f), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate.

La Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni. Segnatamente, si è chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; che può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento; che, nella materia che occupa, deve considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili – come avvenuto nel caso di specie – della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica.
E preme altresì evidenziare che la Suprema Corte ha chiarito che non può affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli.

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