In questa sentenza la Suprema Corte ha, ancora una volta, ribadito che “il datore di lavoro, proprio in forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica e di quella generale di cui all’art. 2087 c.c., è il “garante” dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei lavoratore, con la già rilevata conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” (art. 40 c.p., comma 2).”
La Corte di Cassazione prosegue “il carattere familiare dell’impresa determina il ragionevole convincimento, non contrastato da elementi di segno contrario, che il rappresentante legale avesse organizzato il lavoro e in particolare che anche allo stesso fossero attribuibili le scelte aziendali e la organizzazione lavorativa e dunque la colposa omissione nell’attuazione di qualsivoglia presidio a protezione degli operai nello svolgimento delle rispettive mansioni e che nessuna formazione era stata loro fornita sulla utilizzabilità degli attrezzi in sé inidonei”.
Inoltre “la quasi totale violazione di ogni possibile norma antinfortunistica implica ex se la riconducibilità dell’evento letale alle violazioni medesime senza che tale collegamento possa definirsi meramente generico essendo piuttosto necessario individuare se e quali di tali violazioni, in una situazione di illegalità globale, possa ritenersi estranea produzione dell’evento.”