Cassazione Penale: sfruttamento del lavoro in agricoltura

Cassazione Penale, Sez. 4, 20 aprile 2022, n. 15186 – Sfruttamento del lavoro in agricoltura.

Il Collegio osserva che l’ordinanza del Tribunale ha spiegato la gravità dei fatti emersi nel corso dell’indagine condotta dalla Procura che ha fatto emergere la forma classica di sfruttamento del lavoro in agricoltura ai danni di numerosi braccianti di nazionalità rumena o extracomunitari, questi ultimi spesso reclutati presso i centri di accoglienza e comunque privi dei permessi di soggiorno.

Alla luce di elementi che univocamente indicano l’assoggettamento a condizioni retributive misere, accettate a causa delle disagiate condizioni economiche e sociali dei lavoratori, si procedeva ad una intensa attività di intercettazioni telefoniche, con servizi di osservazione e pedinamento, di localizzazioni GPS nonché all’assunzione di varie sommarie informazioni che facevano emergere un quadro indiziario univoco, grave, preciso e concordante, dello sfruttamento dei lavoratori.
Emerge dagli atti delle indagini preliminari, in particolare dalle dichiarazioni rese dai braccianti sfruttati, dall’attività di polizia giudiziaria di osservazione, controllo e pedinamento, nonché soprattutto dalle intercettazioni telefoniche, che il ruolo dell’indagato (dipendente della società agricola, nominato RLS) è stato costituito soprattutto dalla funzione di collegamento interno all’azienda e di referente principale per i caporali per rifornire di manodopera la società agricola.

Da diverse intercettazioni si evince che l’imputato non svolge il ruolo di mero recettore della manodopera portata presso l’azienda agricola ma egli è preposto alla vigilanza sui lavoratori, alla gestione degli stessi e al collegamento tra l’azienda e i caporali per la distribuzione ai braccianti del modesto importo retributivo.
Nei medesimi atti di indagine, e in particolare dalle dichiarazioni rese dai braccianti, emergono indubbiamente le condizioni di sfruttamento presenti all’interno della società agricola sotto molteplici profili. Si consideri innanzitutto la violazione della normativa sull’orario di lavoro, su tutti i diritti sociali, sulla retribuzione nonché sulla totale assenza di osservanza delle norme in materia di sicurezza del lavoro, ad esempio senza dispositivi di protezione individuale.

È indubbio che tali condizioni di sfruttamento si sono radicate sullo stato di bisogno dei braccianti agricoli che nella condizione di stranieri extracomunitari o europei, con grave necessità di accettare qualsiasi condizione di lavoro per la debolezza economica e sociale degli stessi. La loro condizione di soggetti privi di qualsiasi tutela ha costituito il terreno di approfittamento da parte del circuito di abusivo reclutamento, collocamento, trasporto, consegna, ricezione e soprattutto utilizzo di manodopera considerata quale mero materiale umano, merce da sfruttare per pochi euro all’ora.
In breve presso tale società le condizioni di sfruttamento attuate sono univocamente e indubbiamente indicative della consumazione del reato di cui all’art. 603-bis cod. pen. Infatti attraverso un meccanismo ricorrente per lo sfruttamento di braccianti agricoli soprattutto di nazionalità straniera, l’imputato ha svolto un ruolo attivo determinante di referente interno all’azienda, non solo nella reiterata corresponsione di una retribuzione notevolmente difforme da quanto previsto dai contratti collettivi nazionali e territoriali ma anche sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato in relazione alle condizioni di lavoro, agli orari di lavoro e alla assenza di qualsiasi diritto sociale. Invero nessun rispetto di periodi di riposo settimanale, di aspettativa obbligatoria, di ferie nonché la sussistenza della violazione delle basilari norme in materia di sicurezza del lavoro, tutte violate.

Fonte: Olympus.uniurb

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