Il 2013 si chiude con la sensazione di una dilagante incertezza sul futuro del lavoro in Italia.
Secondo un’indagine del Censis condotta a settembre del 2013, un quarto degli occupati è convinto che nei primi mesi del 2014 la propria condizione lavorativa andrà peggiorando, il 14,3% pensa che avrà a breve una riduzione del proprio reddito da lavoro e il 14% di poter perdere l’occupazione. Il sentiment di sfiducia è alimentato dal deterioramento di un quadro di contesto che ha visto, soprattutto nell’ultimo anno, allargare il perimetro della crisi dalle fasce generazionali più giovani a quelle più adulte. Se anche nel 2013 è proseguita l’emorragia di posti di lavoro tra i giovani, con una perdita netta nel primo semestre di 476.000 occupati (-8,1%), che si sommano al milione e mezzo circa bruciati dall’inizio della crisi, anche nella fascia d’età successiva, tra i 35 e i 44 anni, il numero degli occupati è diminuito di quasi 200.000 unità, registrando una contrazione del 2,7%. E sono quasi 6 milioni gli occupati che nell’ultimo anno si sono trovati a fare i conti con una o più situazioni di instabilità e precarietà lavorativa. Un’area di disagio che rappresenta il 25,9% dei lavoratori e che può essere riconducibile all’instabilità lavorativa (che interessa una platea di 3,5 milioni di persone tra lavoratori a termine, occasionali, collaboratori e finte partite Iva) e alla sottoccupazione (relativa ai 2,8 milioni che vorrebbero lavorare più di quanto non facciano, ma non riescono per motivi che non dipendono da loro: tra questi vi sono 2.219.000 part-time involontari, ma anche cassaintegrati). Tra il 2007 e il 2012, mentre il numero totale degli occupati è diminuito (-1,4%), quello di quanti si trovano in una delle condizioni descritte è invece cresciuto dell’8,7%.
Il valore delle competenze in tempo di crisi. I settori del lavoro tradizionalmente forti hanno subito un pesante ridimensionamento, con un calo degli occupati tra il 2008 e il 2012 del 10,8% nelle costruzioni, 10,2% nella manifattura, 3,8% nella logistica e dell’1,3% nel commercio. Di contro, altri comparti hanno fatto registrare trend postivi: tra questi vi sono le attività professionali di tipo tecnico-scientifico (+2,3%), quelle di programmazione, consulenza informatica e affini che, seppure ricomprese in un settore sostanzialmente stabile – quello dell’informazione e comunicazione (+0,1%) – fanno registrare un deciso balzo in avanti quanto a occupati (+4,7%). Cresce la domanda di competenze informatiche, linguistiche, ma anche e soprattutto tecniche e tecnologiche. Ma su questo il nostro sistema formativo non sembra garantire adeguata risposta. Da un’indagine condotta dal Censis sulle imprese guidate dai Cavalieri del lavoro emerge, nel confronto tra giovani italiani e stranieri, una preparazione tecnica non sempre all’altezza delle aspettative del mercato: soltanto il 12,2% degli imprenditori ritiene i nostri competitivi, a fronte del 65,5% che invece preferisce i giovani di altri Paesi; rispetto alla preparazione teorica, invece, la situazione si presenta speculare, e i giovani italiani sono sensibilmente più competitivi dei colleghi stranieri (lo dichiara il 47,5% degli intervistati). Ottimi studenti, che tuttavia quando entrano in azienda appaiono disorientati, in buona parte a causa dello scollamento esistente tra mercato del lavoro, da una parte, e istituzioni scolastiche e universitarie, dall’altra. E soltanto la grande capacità innovativa e creativa che si riconosce ai giovani italiani (sul piano della creatività essi sembrano avere ben pochi rivali e ben l’83,7% degli imprenditori li ritiene più competitivi) possono far fronte alle debolezze di tipo tecnico e specialistico, ormai sempre più centrali nel mercato del lavoro.
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