Il primo studio, apparso sulla rivista Occupational & Environmental Medicine, analizza i settori di attività economica classificati a basso, medio-basso, medio-alto e alto rischio di contagio per i lavoratori, sviluppando un’analisi comparata con i casi di Covid-19 denunciati all’Inail come correlati all’attività lavorativa. I risultati mostrano come l’occupazione sia uno dei determinanti più rilevanti nel rischio di malattia, con il 19,4% degli ammalati che denuncia una possibile causa occupazionale. Fra i settori maggiormente coinvolti figurano l’assistenza sanitaria, l’industria alimentare, i servizi di pulizia e di assistenza agli anziani.
Nel secondo studio, pubblicato su The Lancet, è sottolineata invece l’opportunità di tenere conto della dimensione occupazionale nella definizione delle attività di prevenzione e nelle scelte di priorità per le politiche di distribuzione del vaccino, quando sarà disponibile. Entrambi i lavori, inoltre, indicano nello sviluppo di un sistema di sorveglianza epidemiologica, che includa la componente occupazionale come dimensione primaria, uno dei temi cruciali per l’efficienza delle politiche di contrasto alla pandemia nel nostro Paese.
L’inclusione della dimensione lavorativa nello sviluppo delle misure di prevenzione e protezione nel controllo della pandemia è stata al centro delle azioni messe in campo dal governo per la gestione e il contenimento dei contagi nei luoghi di lavoro, ma anche rispetto al rischio comunitario nel suo complesso. L’Inail, in particolare, ha messo a fattore comune la sua esperienza di ricerca nell’ambito dei lavori del Comitato tecnico scientifico istituito presso la Protezione civile in cui è presente con un suo rappresentante, che ha portato all’elaborazione di numerosi documenti tecnici contenenti raccomandazioni e buone prassi, ai quali si deve questo importante riconoscimento da parte della letteratura scientifica internazionale.