Pertanto, ove l’ambiente di lavoro entro il quale l’appaltatore dovrà eseguire la prestazione concordata preveda la presenza di una terza compagine – ad esempio un lavoratore autonomo al quale sia affidato un diverso appalto interno o lavori edili – dovranno essere valutati e regolati i rischi che da quella presenza derivano.”
E la Corte prosegue: “D’altro canto, sarebbe irragionevole ritenere che possa essere ignorato un fattore di rischio persino più elevato rispetto a quello determinato dalla compresenza delle organizzazioni del datore di lavoro committente e dell’appaltatore; entrambi, infatti, hanno conoscenza della propria organizzazione e possibilità di conoscere dell’altrui, mentre della ditta estranea all’appalto non è nota che la presenza. Non si può fare a meno di notare, al riguardo, che l’art. 26 non impone alle parti dell’appalto – e segnatamente al datore di lavoro committente – di adempiere agli obblighi informativi, cooperativi e coordinativi anche nel confronti della ditta terza, comunque interferente. Ma ciò può valere quale conferma del fatto che di questa si deve tener conto nella valutazione prevista dall’art. 26, avendo il legislatore ritenuto che tanto sia sufficiente a fronteggiare il rischio derivante dalla sua presenza nel luogo di lavoro, anche in considerazione – sì può ipotizzare – del coinvolgimento della medesima in un diverso processo valutativo (eventualmente quello previsto dagli artt. 88 e ss.).”