Il ritorno alla crescita della CO2 “una delusione”, afferma Corinne Le Qur, direttrice del Tyndall Centre for Climate Change Research dell’ateneo britannico dell’East Anglia, autrice principale dello studio. Così, aggiunge, si rischia di non fare in tempo “a mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi, figurarsi entro il grado e mezzo”. Insomma gli obiettivi dell’accordo di Parigi rischiano di allontanarsi.
Delle emissioni globali la quota maggiore è appannaggio della Cina (nel 2016 ne ha prodotto il 28%), indicata dai ricercatori come il principale imputato del ritorno alla crescita della CO2. Rispetto all’ultimo triennio il Paese si prepara a fare retromarcia: per il 2017 le sue emissioni dovrebbero aumentare del 3,5%. Il secondo emettitore al mondo sono gli Stati Uniti,col 15%. Per il Paese a stelle e strisce, dove il presidente Donald Trump sta smantellando le politiche “verdi” del predecessore Obama, gli analisti si dicono comunque cautamente ottimisti. La transizione dal carbone alle energie verdi dovrebbe continuare, scrivono.
L’UE è sul terzo gradino del podio: nel 2016 ha prodotto il 10% delle emissioni globali. L’India è quarta col 7%: nell’ultimo decennio le sue emissioni sono aumentate del 6%. Per il 2017 dovrebbero rallentare. Il rapporto contiene anche qualche buona notizia, come il calo della CO2 in presenza di economia in crescita nel decennio 2007-2016 in 22 Paesi che rappresentano il 20% delle emissioni globali (tra cui Usa, Francia, Germania, Regno Unito) e la corsa delle rinnovabili (vento e sole) al ritmo del 14% l’anno.