La direttiva dovrebbe infatti agevolare la libera circolazione dei lavoratori proteggendo i loro diritti a previdenza complementare. Ma l’elemento più importante, ossia appunto la “portabilità” dei diritti, è svanito lungo il duro iter negoziale tra gli Stati membri. I diritti dei lavoratori che si spostano da uno Stato membro all’altro saranno quindi meglio protetti soltanto sotto tre aspetti:
acquisizione dei diritti (il periodo minimo di affiliazione necessario per l’acquisizione dei diritti alla pensione complementare non potrà superare i tre anni, e l’età minima non potrà essere inferiore a 21 anni);
conservazione dei diritti (i diritti dei lavoratori che lasciano un regime pensionistico complementare dopo la fine del rapporto di lavoro devono essere conservati nel fondo previdenziale dove sono stati maturati, e devono essere equivalenti in valore a quelle dei lavoratori attivi affiliati);
informazioni (i lavoratori devono essere informati delle conseguenze che la cessazione del rapporto di lavoro e un trasferimento eventuale in un altro Stato membro possono causare sui diritti a pensione complementare).
Gli Stati membri hanno quattro anni, ossia fino al 21 Maggio 2018 per recepire questa direttiva nella legislazione nazionale.