Dubbi sulla legittimità dell’interpretazione autentica di rifiuto

Corte di Giustizia europea e Magistratura italiana ritengono illegittimo l’ art. 14 del DL 138/2002

Ritornano nuovamente alla ribalta le norme interpretative dell’ art.6 del Decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 ( c.d. Decreto Ronchi ), dopo l’ emanazione del Decreto -legge 8 luglio 2002, n. 138 che con l’ art. 14 ha inteso stabilire ” l’interpretazione autentica della definizione di rifiuto”. In effetti, questo articolo 14 del decreto legge 138/2002, anziché fare chiarezza ha suscitato una serie di perplessità sulla nozione di rifiuto, suscitando profili di incompatibilità con la normativa comunitaria. Infatti, la Commissione delle Comunità europee, con la procedura d’ infrazione n. C(2002)3868 ha accusato l’ Italia di limitare il campo di applicazione della nozione di rifiuto (individuata dalla direttiva 75/442/CEE) escludendone sostanze che dovrebbero rientrarvi. E ad essere sotto accusa è proprio l’ art. 14 del DL 138/2002, che reca l’ interpretazione autentica della nozione di ” rifiuto” contenuta nell’ art. 6 del D. Lgs. 22/1997. Come scrive sull’ argomento Giovanni Balocco (in collaborazione con Gabriella Bertolino) sul quotidiano Italia Oggi di martedì 26 novembre 2002, ” Fondamentale nello sviluppo giurisprudenziale comunitario della nozione di rifiuto è risultata senz’ altro la sentenza della Corte di Giustizia del 15/6/2000 (Arco). Con tale pronuncia, infatti, il collegio, partendo dalla considerazione che la sottoposizione di una sostanza a un trattamento previsto dalla normativa sui rifiuti ( sia esso di smaltimento oppure di recupero) non comporta necessariamente che la stessa debba essere considerata rifiuto, chiarisce come non esistano criteri univoci di individuazione. Invero la qualifica di un bene come rifiuto dipende, per la Corte, dall’ intenzione di disfarsene; tale verifica deve essere effettuata in base al comportamento dello stesso detentore tenendo presente che il significato del verbo “disfarsi” deve essere interpretato alla luce della direttiva 75/442/CEE la quale, come prevede il terzo considerando, individua nella tutela dell’ ambiente e della salute dell’ uomo gli obiettivi primari della norma”. Fin qui la Corte di Giustizia europea, la quale evidentemente non ha completamente chiarito la nozione di rifiuto, se il Giudice unico del Tribunale di Terni,Dott. Maurizio Santoloci, lo scorso 20 novembre con una ” Ordinanza dibattimentale di rinvio alla Corte Europea di Giustizia” ha sollevato nuovi dubbi sulla compatibilità tra l’ art. 14 del Dl 138/2002 e le norme comunitarie sulla definizione di rifiuto, chiedendo una pronuncia di legittimità. La questione trae origine dal sequestro di un carico di rottami ferrosi destinati al recupero, sprovvisto di formulario di identificazione dei rifiuti e caricato su un camion non iscritto all’albo smaltitori. Pur rilevando che il carico era costituito da materiali derivanti dalla demolizione di macchinari, automezzi o dalla raccolta di oggetti dismessi, ossia da scarti di produzione non più utilizzabili, secondo quanto previsto dal Decreto Ronchi, nonché dalle classificazioni della Decisione 2001/118/CE, nell’ ordinanza si legge che ” si potrebbe ritenere che i rottami ferrosi, dopo l’entrata in vigore della definizione di rifiuto dell’ art. 14 del DL. 138/2002 – convertito in Legge 8 agosto 2002, n. 178 -, essendo destinati al riutilizzo non siano più considerati rifiuti in Italia”. Nel dubbio se applicare o meno tale interpretazione al caso sottoposto al suo esame, il Giudice di Terni ha così ritenuto opportuno trasmettere gli atti alla Corte di giustizia UE. E un’altra disapplicazione sull’ interpretazione ” autentica” della nozione di rifiuto è avvenuta anche dal GIP di Udine che, con un’ ordinanza del 16 ottobre 2002, ha rigettato un’opposizione ad un decreto di ” rigetto di restituzione di cose sequestrate”, presentata alla luce dell’ art. 14 del Dl 138/2002.

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