I falsi corsi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro

La Repubblica pubblica, il 14 dicembre 2016, l’articolo “Sicurezza sul lavoro il business dei corsi falsi” di Matteo Pucciarelli dove analizza il fenomeno delle truffe nate intorno all’obbligo per le aziende di formare i dipendenti alla sicurezza.

Creano sindacati ad personam che a loro volta danno vita a enti bilaterali rappresentanti di nessuno, vendono corsi di formazione a volte inesistenti, producono carte su carte e certificazioni posticce: benvenuti nel mondo della (falsa) sicurezza sul posto di lavoro, un modo come un altro per fare soldi speculando sulle complicazioni della legge. Quale? La 81 del 2008, di fatto applicata dal 2012, la quale prevede per le aziende l’obbligo di garantire e pagare ai dipendenti corsi sulle dotazioni e le procedure di sicurezza.

Fin qui ciò che dovrebbe avvenire sulla carta. La realtà invece è un ginepraio da mettersi le mani nei capelli, con gli squali del codicillo e della furbata all’italiana che prosperano nella miriade di commi e articoli, settore per settore, che regolamentano la materia. Chi dovrebbe vigilare sull’applicazione della norma, infatti, è l’ufficio prevenzione della ATS (ex ASL). In tutto un centinaio di dipendenti che hanno il compito di controllare se 1,2 milioni di lavoratori a Milano hanno effettivamente svolto i corsi in questione. Praticamente impossibile.

In teoria qualsiasi lavoratore prima di cominciare a prestare servizio dovrebbe frequentare un corso di formazione generale sulla sicurezza di minimo otto ore, anche chi sta in ufficio. Un obbligo considerato “noioso” da molte aziende, che quindi preferiscono tagliare la testa al toro: far produrre la documentazione che occorre per stare in regola e bypassare il tutto. “Ci guadagnano in due – spiega Marco Morone, tecnico dell’ATS che si occupa di eseguire i controlli – i datori di lavoro che risparmiano le ore retribuite di corso dei dipendenti e gli stessi enti formatori, che non devono organizzare nulla”

Un corso vero, regolare, per acquisire ad esempio il patentino necessario per smaltire l’amianto, costa 350 euro a lavoratore; un semplice corso per il pronto soccorso, un centinaio di euro. Se si considera comunque che in media un corso in aula da 12 ore costa alle aziende fra i 300 e i 400 euro lordi, il giro di affari potenziale nella sola Lombardia -quasi 4 milioni di lavoratori – si aggira intorno al miliardo e mezzo di euro in cinque anni (dopodiché infatti la formazione va ripetuta).

“I lavoratori, specie quelli delle piccole realtà lavorative che sono la maggior parte del tessuto produttivo e quelli degli appalti – spiega Giorgio Ortolani, che per la Filcams Cgil della Lombardia si occupa di salute e sicurezza – troppo spesso non solo non conoscono i propri diritti, ma a volte per mancata conoscenza o per pressioni aziendali sottoscrivono corsi di formazione non svolti. Solo un più intenso intervento ispettivo da parte degli organi di vigilanza può impedire questo sistema di aggiramento degli obblighi di formazione e che spesso arricchisce i disonesti”.

Per leggere l’articolo completo andare al primo link.

Approfondimenti

Precedente

Prossimo