Il libro ”Storie precarie” parla della generazione dei senza diritti

Far parte della generazione dei precari, della generazione ”senza”, significa non potersi permettere progetti di vita, non avere diritti elementari, stare peggio dei propri genitori pur avendo studiato di più.

Far parte della generazione dei precari, della generazione ”senza”, significa non potersi permettere progetti di vita, non avere diritti elementari, stare peggio dei propri genitori pur avendo studiato di più. Si vive ai margini del mercato del lavoro vedendosi negata una parte importante della propria identità. Parlano così di se stessi i lavoratori protagonisti di ”Storie precarie parole, vissuti e diritti negati della generazione senza”, il libro scritto dal sociologo del lavoro Patrizio Di Nicola, dalla ricercatrice dell’Istat Francesca della Ratta-Rinaldi, e dalle sociologhe Ludovica Ioppolo e Simona Rosati (Ediesse edizioni).

Nel libro, i risultati di un’indagine – promossa da Cgil e Smile, in collaborazione con la rivista Internazionale – che aiuta a capire meglio l”’arcipelago della precarietà” attraverso la raccolta e l’analisi di quasi 500 storie di lavoratori e lavoratrici atipici. I lavoratori coinvolti nel lavoro flessibile (anche se non tutti precari), ricordano gli autori, sono stimati in un numero che va dai 4 ai 5,4 milioni (se si includono particanti, stagisti e autonomi con monocommittenza).

Ma più che i numeri, si legge ancora nel libro, sono difficili da stimare le “molte tribù” che compongono l’universo del lavoro atipico. “La precarietà rappresenta una condizione trasversale a tutte, seppure con diverse gravità, in quanto connessa alla questione fondamentale dei livelli di tutela di cui esse godono”, dicono gli autori. La ricerca riordina tutte le varie tipologie di precariato ma soprattutto dà voce a chi la precarietà la vive tutti i giorni sulla propria pelle: posizioni, profili, percorsi, vicissitudini, atteggiamenti, contesto familiare, linguaggio.

Attraverso alcune storie ”esemplari” riportate nel volume dell’Ediesse, si conoscono vicende molto diverse tra loro, lontane per età e settore di lavoro dei protagonisti, ma accomunate dalla precarietà. Dall’ex-imprenditore che fatturava 15 milioni l’anno con un’attività nel campo edile, e che a 52 anni si trova disoccupato, alla giovane plurilaureata che spiega come il precariato sia “uno stile di vita” e di avere tuttosommato paura di un “lavoro non precario, perchè la mia generazione è cresciuta senza sapere cosa voglia dire la stabilità”, passando per l’insegnante in possesso di due abilitazioni ma che lavora da 16 anni con contratto a tempo determinato.

“La trappola della precarietà -scrive il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, nella prefazione- è doppia: senza lavoro stabile oggi, senza previdenza e assistenza certa domani”. E la leader di Corso d’Italia non risparmia un’autocritica: “E’ stata trascurata l’attività di rappresentanza sindacale e contrattuale del lavoro precario, immaginando al suo posto un intervento legislativo di correzione delle norme più lesive dei diritti e delle condizioni di lavoro, con la conseguenza che l’intervento legislativo c’è stato, ma in direzione di un progressivo peggioramento”.

Fonte: INCA

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