INCA, malattie professionali nel settore trasporti

Un’indagine dell’INCA nel settore trasporti vuole stimolare un approfondimento sul tema delle malattie professionali, che lo stesso Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro, nei suoi consueti rapporti annuali, avverte come fortemente sottostimato.

Scive Lisa Bartoli:
Appare quanto meno incomprensibile che nel 2012 il numero delle malattie professionali nel settore trasporti e magazzini si sia attestato a 1.766 denunce inviate all’INAIL, a fronte, potremmo dire, di alcune centinaia di migliaia di addetti. Eppure è proprio così. Una realtà difficile da quantificare se si considera che non ci sono soltanto gli autisti di mezzi pubblici.

Nel comparto, infatti, lavorano camionisti di piccole e piccolissime aziende, anche a conduzione familiare, che trasportano merci o persone da un capo all’altro dell’Italia, ma anche oltre confine. Con la consueta pignoleria, l’INCA, insieme alla FILT CGIL, ha voluto approfondire, avviando una indagine a campione per capire quali sono le reali condizioni di lavoro. Al momento sono stati raccolti quasi 200 questionari, con la stessa modalità già ampiamente sperimentata in altri comparti produttivi (sanità, lapidei, agricoltura ecc.) .

I trasportatori di merci e persone denunciano condizioni di lavoro che vanno oltre i limiti stabiliti nei diversi contratti di lavoro: non vengono rispettate le pause di riposo, guidando anche per 12 o 16 ore continuative; spesso gli automezzi sono obsoleti, ma anche quando il parco macchine è rinnovato, resta alta la percentuale di coloro che accusano patologie a carico della colonna vertebrale, per posture scorrette, dovute a sedili dannosi per la salute.

Stando ai dati ufficiali dell’INAIL, nel 2012, su 1.766 denunce di malattie professionale, 1.380 sono riconducibili a patologie osteo-articolari e muscolo tendinee (1.380); seguono quelle del sistema nervoso e degli organi di senso (158, di cui 137 casi di ipoacusie da rumori). Infine, 15 casi di disturbi psichici, anche dovuti da stress cronico. A questi si aggiungano gli ottanta morti, di cui sessanta provocati da incidenti stradali.

Fin qui i dati ufficiali dell’INAIL che, tuttavia, rappresentano una minima parte di ciò che avviene quotidianamente. Il campione esaminato dai medici legali dell’INCA, infatti, sulla base di circa 200 questionari compilati dai lavoratori di Frosinone, Ragusa, Genova, Alessandria, Latina e Milano fa emergere una realtà nascosta, ma molto insidiosa.

Per esempio, si è rilevata l’assenza completa dell’infortunio stradale, tra le cause delle patologie correlate al lavoro. Eppure, il 42 per cento degli intervistati dichiara che i danni alla salute sono da ricondurre a questo tipo di incidenti. Non può meravigliare, quindi, che soltanto 5 lavoratori hanno avuto un riconoscimento di malattia professionale.

Del campione colpisce anche l’età: gli autisti non sono giovani e hanno alle spalle molti anni di servizio (oltre 12 anni di lavoro nel settore) e sono pochissimi quelli assunti dopo il 2000. Dall’analisi delle singole risposte è emerso che i disturbi maggiormente riscontrati sono: il 70 per cento al rachide lombare, il 50 per cento al rachide cervicale e, probabilmente, per un problema di ergonomia del posto di lavoro, il 25 per cento accusa dolori alle spalle e al fondo schiena alla fine di ogni turno di lavoro. Ciononostante, in presenza di fenomeni acuti di ernie, l’evento non viene denunciato come infortunio.

Aiuta a comprendere le difficoltà di sviluppare una nuova cultura della sicurezza, l’atteggiamento del lavoratore stesso che non segnala i disturbi al medico competente (che è di nomina aziendale), privilegiando la scelta di rivolgersi al medico di famiglia. Una figura vissuta come “neutrale” che fa attenuare la paura di diventare inidoneo alla mansione e, quindi, di perdere il posto di lavoro. Timore percepito da tutti gli autisti intervistati che, non a caso, dichiarano di cambiare “soventemente” datore di lavoro.

“Un segnale preoccupante – spiega Silvino Candeloro, dell’INCA – che dimostra come ci sia ancora molto da fare affinché la prevenzione e la salute siano vissute non come un costo, ma come una necessità per garantire benessere e dignità nel lavoro”.

Fonte: INCA

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