Il vincolo di necessità era già stato escluso. Per i giudici, infatti, nel suo caso l’uso dell’automobile non era giustificato dalla distanza tra l’abitazione e il luogo di lavoro. Considerata “la media età lavorativa e la mancata allegazione di problemi fisici o di salute”, il tragitto non superiore al chilometro era “comodamente percorribile anche a piedi senza eccessivo dispendio di energie fisiche. Per traslare il costo di eventuali incidenti stradali sull’intervento solidaristico a carico della collettività era necessario che tale uso fosse assistito da un vincolo di necessità”, che era già stato escluso dai giudici di merito.
La decisione della Corte conferma una linea giurisprudenziale già tracciata da decisioni precedenti. Nel 2004, per esempio, con la sentenza 19940 la sezione lavoro della Cassazione aveva rigettato la domanda per il riconoscimento dell’infortunio in itinere di un altro lavoratore, sottolineando che “l’uso del mezzo proprio, con l’assunzione degli ingenti rischi connessi alla circolazione stradale, deve essere valutato con adeguato rigore, tenuto conto che il mezzo di trasporto pubblico costituisce lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio di incidenti”. Di conseguenza, “l’uso del mezzo privato può essere consentito solo quando sia direttamente collegato con la prestazione lavorativa ed è indispensabile per raggiungere il posto di lavoro o per tornare alla propria abitazione”.