In base ad una Sentenza della Cassazione una lavoratrice può perdere il diritto alla indennità di malattia se non è rintracciabile perché sul campanello di casa c’è il nome del marito
La Sezione lavoro della Corte di Cassazione, con sentenza n. 4233 depositata il 25 marzo 2002, ha stabilito che l’ ingiustificata assenza del lavoratore ( lavoratrice in questo caso) alla visita di controllo – per la quale l’ articolo 5, comma 14°, del decreto-legge 463/83 ( convertito in legge 638/83) prevede la decadenza ( in varia misura) del lavoratore medesimo dal diritto al trattamento economico di malattia- non coincide necessariamente con la materiale assenza di quest’ ultimo dal domicilio nelle fasce orarie predeterminate, potendo essere integrata da qualsiasi condotta dello stesso lavoratore, pur presente in casa, che sia valsa ad impedire l’esecuzione del controllo medico per incuria, negligenza o altro motivo non apprezzabile sul piano giuridico e sociale. La prova dell’ osservanza di tale dovere incombe sul lavoratore ( vedi ex plurimis Cassazione 5000/99). Ciò che è sanzionatorio è il fatto obiettivo in sé, indipendentemente dall’ intenzione in concreto del lavoratore (Cassazione 8484/83). Lo stato di malattia non vale di per sé ad escludere la negligenza della lavoratrice, che doveva provare invece la diligente predisposizione di una situazione tale da rendere possibile il controllo domiciliare, tenuto anche conto del fatto che, come accertato dal tribunale, sul campanello non era indicato il nome della donna, bensì quello del marito. La vicenda è iniziata con un ricorso presentato da una lavoratrice che il 20 giugno 1996 conveniva in giudizio l’ INPS innanzi al Pretore di Arezzo per ottenere il riconoscimento all’ indennità di malattia, che l’Istituto si era rifiutato di corrispondere la prestazione assicurativa, ritenendo applicabile la sanzione prevista dall’ art.5 della legge 638/83. Ma il Pretore di Arezzo riteneva attendibili le giustificazioni della lavoratrice, censurate però, ancora una volta, dall’ INPS che sosteneva a carico della lavoratrice ammalato un vero e proprio ” onere di reperibilità” che implica non solo la presenza fisica, ma la ” effettiva ed attuale disponibilità alla visita di controllo” anche se il medico non avendo trovato il nominativo sul citofono della lavoratrice ammalata ” aveva chiesto sommarie informazioni ad una vicina e dopo aver bussato a tutti i citofoni si era allontanato”. Quindi rigettato nuovamente l’appello dal Tribunale di Arezzo, l’ INPS proponeva il ricorso in Cassazione, sostenendo che il ” dovere di cooperazione del lavoratore deve consistere, proprio a ragione dello stato di malattia, anche nella diligente predisposizione di una situazione tale da rendere possibile il controllo domiciliare”. Insomma, la lavoratrice ammalata avrebbe dovuto predisporre la propria reperibilità aggiungendo sul cartellino del campanello il suo nome a quello del marito. E così il ricorso dell’ INPS è stato accolto dalla Cassazione che però ha rimandato la sentenza impugnata alla Corte di Appello di Firenze.
Fonte: Ministero della Giustizia
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