Da studi della Boston University School of Medicine e dal Beth Israel Deaconess Medical Center emerge che il rischio di subire danni cerebrali può aumentare del 46 percento in persone che abitano in zone ad alto tasso di inquinamento. Nel 2012 un gruppo di ricercatori del Rush Institute for Healthy Aging del Rush University Medical Center di Chicago ha trovato forte correlazione tra polveri sottili e ultrasottili e la degenerazione delle facoltà mentali oltre i 70 anni. In un altro studio del 2015 della China Medical University di Taichung si parla di un rischio di ammalarsi di Alzheimer pari al 138 percento in persone che hanno avuto una esposizione di almeno 10 anni alle polveri sottili.
Maggiori sono se le esposizioni al particolato ultrafine e più gravi sono i danni al cervello, non soltanto tra gli anziani ma anche in età giovanile. Gli studi hanno dimostrato che un cervello fortemente esposto a polveri sottili mostra formazioni di placche simili a quelle dell’Alzheimer. Secondo il Centro Parkinson dell’Ircss San Raffaele di Roma ci possono essere correlazioni tra la malattia e alcuni inquinanti ai quali si è più esposti e che possono giocare un ruolo importante nell’evolversi della malattia.
Nel 2016 ricercatori dell’Università di Harvard hanno spiegato come l’aumento della concentrazione nell’aria del particolato fine e ultrafine può accrescere il rischio di ricoveri per una malattia neurodegenerativa.
L’esposizione all’inquinamento ambientale e al particolato atmosferico, derivati soprattutto da veicoli, pneumatici e combustioni, è associata a una maggiore percentuale di patologie cardiovascolari, come l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale, lo scompenso cardiaco e le aritmie.
Gli scienziati della Jagiellonian University di Cracovia hanno rilevato un aumento di livelli di proteina C-reattiva, omocisteina e fibrinogeno, marcatori infiammatori capaci di danneggiare cuore e arterie, nei soggetti che vivono in ambienti fortemente inquinati. Altri studi scientifici eseguiti dall’ospedale universitario di Jena in Germania hanno dimostrato una correlazione tra l’aumento del famigerato biossido di azoto e l’aumento degli infarti nella popolazione anche in zone poco inquinate e in centri medio-piccoli.
Uno studio dell’Università di Okayama rivela che la frequenza di asistolia aumenta in corrispondenza dell’aumento di livelli di inquinanti atmosferici come particolato fine e ozono.
Uno studio condotto dal Brigham and Women’s Hospital di Boston ha spiegato come il rischio di infarto sia maggiore entro 50 metri da un’autostrada. Un altro studio condotto dalla London School of Hygiene & Tropical Medicine, ha dimostrato che il rischio di decesso dei pazienti sale in maniera significativa in corrispondenza dell’aumento delle PM 2.5, in grado di penetrare in profondità nei polmoni e la Tel Aviv University dimostra come pazienti cardiopatici che vivono in zone altamente inquinate mostrino il 43% di possibilità di avere un secondo infarto e il 46% di avere un ictus.
La lotta all’inquinamento atmosferico deve essere affrontata e risolta con decisione dalle amministrazioni comunali e dai governi e le soluzioni devono passare da una riqualificazione e riprogettazione delle città con intervenenti drastici su tutte le fonti di produzione degli inquinanti.