La Corte di Giustizia Ue condanna l’Italia per i poteri speciali detenuti da alcune aziende.

La Corte di Giustizia, con la Sentenza della Terza Sezione del 26-3-2009, ha giudicato incompatibili con la normativa comunitaria i poteri speciali –cosiddetta “golden share” – detenuti dallo Stato italiano in Telecom Italia, Eni, Enel e Finmeccanica e ha condannato l’Italia, dando alla Commissione europea che a giugno 2006 aveva deferito il nostro Paese alla Corte di Strasburgo per violazione degli articoli 56 e 43 del Trattato CE.

Per la Corte di Giustizia dell’Unione europea, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 giugno 2004 con il quale sono stati definiti i criteri di esercizio dei poteri speciali, “non contiene precisazioni sulle circostanze in cui i criteri di esercizio del potere di veto possono trovare applicazione”, con la conseguenza che gli investitori non sanno quando tale potere di veto possa trovare applicazione e i criteri da esso fissati non sono dunque fondati su condizioni oggettive e controllabili.

Nel mirino della Corte di Strasburgo, in particolare, i poteri speciali che prevedono la possibilità per lo Stato di opporsi all’assunzione, da parte di investitori privati, di partecipazioni rilevanti –
pari ad almeno il 5% dei diritti di voto – in queste società o di porre il veto alla stipula di patti o accordi tra azionisti che rappresentano almeno il 5% dei diritti di voto.
Incompatibile con le norme UE anche la possibilità per lo Stato di opporsi all’adozione di delibere relative allo scioglimento delle società, al trasferimento all’estero della sede sociale, al cambiamento dell’oggetto sociale, alla modifica dello statuto in previsione della soppressione o della modifica della Golden Share, alla nomina di un amministratore senza diritto di voto.
Una di queste clausole, sottolineano i giudici di Strasburgo, “è stata inserita negli statuti di ENI, Telecom Italia, ENEL e Finmeccanica”
“Ciò – aggiunge la Corte – scoraggerebbe gli investitori che intendono stabilirsi in Italia al fine di esercitare un’influenza sulla gestione delle imprese. Inoltre esso va oltre quanto necessario per tutela gli interessi pubblici che ne costituiscono l’oggetto”.
Incompatibile con il diritto comunitario anche l’affermazione secondo cui “il potere di veto deve essere esercitato soltanto in conformità con il diritto comunitario e la circostanza che il suo esercizio possa essere soggetto al controllo del giudice nazionale”.

E’opportuno precisare che il termine Golden Share – che deriva dall’inglese “Azione dorata” -indica la possibilità per uno Stato, di mantenere i poteri speciali su un’ex impresa pubblica, anche dopo la privatizzazione. Tra questi, quello di riservare allo Stato stesso una quantità di azioni o di nominare un proprio membro, con poteri più ampi degli altri componenti, nel Consiglio di amministrazione della società.

La Golden Share – introdotta in Europa intorno agli anni ’90, quando furono avviate le prime privatizzazioni – può essere anche una quota simbolica di una sola azione, ma conferisce ugualmente allo Stato un potere strategico, anche dopo il completamento della privatizzazione.
La durata della Golden Share è generalmente limitata nel tempo, ma il Trattato UE consente ec cezioni per ragioni di ordine pubblico, sicurezza pubblica, salute pubblica e difesa; pertanto l’obiettivo di proteggere alcune attività economiche può essere accettabile in casi specifici.

Il decreto del presidente del Consiglio del 2004 indica che i poteri speciali “sono esercitati nel rispetto dei principi dell’ordinamento interno e comunitario, e tra questi in primo luogo del principio di non discriminazioni”.

Devono ricorrere, quindi,”circostanze di grave pericolo di carenza di approvvigionamento nazionale minimo di prodotti petroliferi ed energetici, di materie prime e di beni essenziali alla collettività, nonché di servizi di telecomunicazione e di trasporto di servizi pubblici, pericoli per la difesa nazionale, la sicurezza militare, l’ordine pubblico, emergenze sanitarie”.

(LG-FF)

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