La mobilità professionale nell’UE è ancora un percorso a ostacoli.

Un sondaggio della Commissione europea rivela che un europeo su due sarebbe disposto a trasferirsi se non trova lavoro i n patria. Circa 11,3 milioni di europei vivono in un paese dell’UE diverso dal proprio. Sono quattro milioni in più rispetto a dieci anni fa, ma rappresentano ancora solo il 2,3% della popolazione.

Questi dati, contenuti in una relazione dell’UE, pubblicata il 13 luglio scorso, dimostrano che sono ancora troppo pochi gli europei che sfruttano il diritto a trasferirsi per lavoro in qualsiasi paese dell’Unione: uno dei principali vantaggi del mercato unico e u n elemento del suo successo.

La relazione fornisce un aggiornamento sui diritti dei lavoratori europei alla luce delle decisioni della Corte di Giustizia europea, che ne ha ampliato il campo di applicazione nel corso dell’ultimo decennio. Ad esempio, la nozione di “lavoratori” comprende ora anche ci ha un’occupazione temporanea o gli atleti pagati per giocare in altri paesi dell’UE.

La relazione è il frutto del rinnovato impegno a promuovere la mobilità professionale all’interno dell’UE. Il nuovo piano economico decennale dell’Unione la giudica infatti indispensabile per combattere la disoccupazione, che ha raggiunto livelli record con la recessione. A maggio era a quota 9,6% rispetto al 6,8% di un anno prima, cioè prima della crisi finanziaria.

“La mobilità dei lavoratori può contribuire a ridurre la disoccupazione facendo incontrare domanda e offerta, “ ha dichiarato il commissario per l’occupazione e i diritti sociali Laszlò Andor.Gli europei ne sono consapevoli, ma per andare a lavorare in un altro paese dell’UE bisogna ancora superare molti ostacoli”.

(LG-FF)

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