Licenziamento del dipendente per accesso a cartella protetta: sentenza Cassazione

Il comportamento del dipendente che accede ad una cartella protetta sul server aziendale di cui non possiede le credenziali autorizzative integra una responsabilità contrattuale del dipendente

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha stabilito con la sentenza del 7 novembre 2006 (9 gennaio 2007) n. 153, che il comportamento del dipendente che accede ad una cartella protetta sul server aziendale senza averne le credenziali autorizzative integra responsabilità contrattuale del dipendente, per violazione dello spazio riservato di un soggetto titolare del diritto di disporre delle informazioni ivi contenute e quindi di escludere l’accesso indesiderato di terzi. Tale comportamento è riconducibile alla inosservanza dell’obbligo di fedeltà di cui all’articolo 2105 Codice Civile, secondo il quale “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. La Cassazione ha così confermato la sentenza di secondo grado emessa dalla Corte d’appello di Trento, che aveva a sua volta confermato quella del Tribunale di Rovereto, che aveva affermato la legittimità del licenziamento.
Tale violazione dell’obbligo di fedeltà, secondo la Suprema Corte, si configura a prescindere dal contenuto dei dati raccolti nella cartella e dalla sussistenza degli estremi della fattispecie dell’accesso abusivo ad un sistema informatico di cui all’articolo 615 ter Codice Penale (che al primo comma recita: “Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni”).

AG

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