Ministero del Lavoro, Interpello n. 1/2020 – Retribuibilità dei tempi di vestizione dei lavoratori

Pubblicata sul sito del Ministero del Lavoro, in data 23 marzo 2020, la risposta all’istanza: “Articolo 9, d.lgs. n. 124/2004 – Retribuibilità dei tempi di vestizione dei lavoratori: articolo 1, comma 2, lett. a), del decreto legislativo n. 66/2003”.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Direzione Generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali

INTERPELLO N. 1/2020 del 23/03/2020

Oggetto: Interpello ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo n. 124/2004 – Retribuibilità dei tempi di vestizione dei lavoratori: articolo 1, comma 2, lett. a), del decreto legislativo n. 66/2003.
Destinatario: UGL Unione Generale del Lavoro

L’UGL – Federazione nazionale delle autonomie ha formulato istanza di interpello al fine di conoscere se possano essere inclusi nell’orario di lavoro i tempi di vestizione della divisa da parte dei dipendenti, inquadrati in vari ruoli professionali, di aziende che applichino un CCNL che non preveda disposizioni specifiche al riguardo.

Al riguardo, acquisito il parere dell’Ufficio legislativo di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
L’orario di lavoro è definito dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 66/2003 come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio delle sue funzioni”. Alla luce delle tre condizioni illustrate, affinché il tempo messo a disposizione del datore di lavoro dal lavoratore sia considerato orario di lavoro e come tale retribuito, si potrebbe ritenere che il tempo dedicato dal lavoratore ad indossare gli indumenti di lavoro (ad esempio: tute, abiti, divise, camici, dispositivi di protezione individuale) non possa, di per sé, essere fatto rientrare nel concetto di orario di lavoro, in quanto il lavoratore, nel momento del cambio, non prestando alcuna attività lavorativa, non si troverebbe nell’esercizio delle sue funzioni.

Tuttavia, pur in assenza di precise e specifiche disposizioni di legge, la Corte di cassazione – secondo un orientamento ormai consolidato – ha ritenuto che si debba distinguere tra i seguenti casi:
• se il lavoratore ha avuto in dotazione gli indumenti di lavoro e dispone della possibilità di portarli al proprio domicilio, recandosi al lavoro con gli indumenti già indossati, il tempo impiegato per la vestizione non può essere considerato orario di lavoro;
• se, invece, il datore di lavoro ha fornito al lavoratore determinati indumenti, con il vincolo però di tenerli e di indossarli sul posto di lavoro, il tempo necessario alla vestizione e svestizione rientra nel concetto di orario di lavoro e, come tale, andrà computato e retribuito.

La ratio del discrimine tra le due diverse fattispecie si fonda, a ben vedere, sul concetto di eterodirezione dell’operazione da parte del datore di lavoro, rinvenibile esclusivamente nella seconda ipotesi.
Sostiene, infatti, la Suprema Corte che: “Ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo dove indossare la divisa (anche eventualmente presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro), la relativa operazione fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa, e come tale il tempo necessario per il suo compimento non deve essere retribuito. Se, invece, le modalità esecutive di detta operazione sono imposte dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione, l’operazione stessa rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito” (cfr. Cass. civ, sez. lav. 16.5.2013, n. 11828, che richiama Cass. 10.9.2010 n. 19358; 9.9.2006 n. 19273; 21.10.2003 n. 15734; Cass. civ. – sez. lav. 13.04.2015, n. 7396).
Tale principio generale ha trovato poi, sempre in sede giurisprudenziale, ulteriori conferme.

Per leggere l’istanza completa andare al link sottostante.

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