alla sentenza emessa dal Tribunale di Milano in relazione ai casi di operai morti per forme tumorali provocate dall’esposizione all’amianto.
Contrariamente a quanto avvenuto negli ultimi mesi in procedimenti analoghi che hanno visto l’assoluzione degli imputati (Enel Turbigo, Ansaldo Franco Tosi, Eternit, ecc.), con le condanne emesse nei confronti di 11 alti dirigenti e manager il giudice ha sostanzialmente accolto quanto richiesto dal P.M. Maurizio Ascione, condannando i consiglieri di amministrazione della società Pirelli per il periodo 1979-1988 a pene comprese tra 3 anni e 7 anni e 8 mesi.
Elemento fondamentale per il riconoscimento della rilevanza eziologica dell’esposizione dei lavoratori è stato il taglio interdisciplinare che durante tutto il processo ha coinvolto diversi consulenti esperti (epidemiologi, oncologi, medici del lavoro, igienisti industriali, esperti di diritto societario, ecc.), avendo come punto di partenza la relazione elaborata dagli operatori del Servizio Prevenzione Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPSAL) della ASL Milano.
L’attività istruttoria è stata molto articolata e fondata su più elementi probatori, che hanno visto la raccolta di una ricca documentazione dimostrativa della presenza di amianto nei reparti di produzione (confermata dai piani di lavoro per smaltimento amianto presentati nelle fasi di demolizioni delle strutture edilizie), e di molteplici testimonianze rese da ex operai e da funzionari della ASL, che all’epoca delle fasi di bonifica erano intervenuti per attività di controllo.
L’amianto non era utilizzato come materia prima in lavorazione, ma la sua presenza è stata documentata nel talco (usato come antiadesivo nella lavorazione della gomma calda) e in ogni forma su tubazioni, coibenti, macchine di produzione e scambiatori di calore, comportando l’esposizione dei lavoratori all’inalazione di polveri e fibre aerodisperse negli stabilimenti di V.le Sarca e di Via Ripamonti a Milano, con conseguente sviluppo di gravi patologie dell’apparato respiratorio quali asbestosi e mesoteliomi pleurici maligni.
La responsabilità dei manager condannati è stata individuata per non aver adottato adeguate misure di protezione: sistemi di aspirazione e/o utilizzo di dispositivi di protezione individuale.
Inoltre, come si evince dalla requisitoria del P.M. dott. Ascione, la mancata realizzazione di adeguati impianti di aspirazione e di abbattimento delle polveri, così come previsto dalla legislazione in materia di igiene del lavoro vigente all’epoca (DPR 303/56), comportando la necessità di interventi strutturali e strategici non poteva fare capo a responsabili che avevano il compito di gestire il quotidiano, ma rientrava certamente tra le competenze dei più alti livelli aziendali.
Un ulteriore elemento di particolare rilevanza che emerge da questa sentenza è l’individuazione di una responsabilità civile in solido anche dell’attuale legale rappresentante della società Pirelli Tyre, il quale dovrà contribuire con i condannati al risarcimento dei danni.
Visto l’esito di questo processo sarà ancora più interessante attendere l’esito del secondo troncone del procedimento, che vede ancora imputati i manager della società Pirelli.
Infatti, nuovi casi di morte tra gli ex dipendenti della Pirelli hanno determinato l’apertura di un nuovo procedimento penale che non è riferito unicamente a patologie quali l’asbestosi o i mesoteliomi pleurici, ma che collega all’esposizione professionale degli anni passati anche decessi avvenuti per tumori polmonari e tumori vescicali, rispettivamente dovuti all’esposizione a idrocarburi policiclici aromatici (nerofumo) ed ammine aromatiche presenti nei cicli lavorativi.
Il prossimo 7 settembre si concluderà la requisitoria di questo secondo troncone sempre con il P.M. dott. Maurizio Ascione.